CHIAROMONTE. C’è un quaderno all’inizio di questa storia. Un quaderno a quadretti di un alunno di prima elementare. Siamo a metà degli Anni Sessanta. Su quel quaderno, un maestro non ancora trentenne, apponeva dei timbri a forma di animali e, accanto, faceva scrivere i loro nomi. In inglese. Era il primo contatto con una lingua finora sconosciuta. Non era italiano. Né il dialetto che in quel paese, Carbone – in Basilicata – si parlava in famiglia. Era inglese: un percorso che qualche dirigente scolastico riteneva già all’avanguardia. E qualcuno bollava come “il voler strafare” di un giovane maestro.

Quell’insegnante era Giovanni Percoco (nella foto, scattata al Trocadero, a Parigi è  a sinistra, insieme con l’artista Francesco Marino), oggi ottantenne e custode, oltre che divulgatore, di tradizioni, culture e arte locali. Quasi un contrappasso con quel cercare di far conoscere ai bambini degli anni Sessanta mondi stranieri e lontani.

C’è un quaderno, un altro, anche più avanti, nella vita di quel maestro, il professor Percoco, come lo conoscono tutti a Chiaromonte, il suo paese e nei Comuni vicini. E’ quello dove, da sempre ha annotato le parole del dialetto lucano, i modi di dire. Quel quaderno, poi, è diventato un vero e proprio vocabolario. “Un libro di mille pagine – racconta  Giovanni Percoco – nato dalla collaborazione con un docente tedesco, Rainer Bigalke, con il quale poi ho stretto un solido rapporto d’amicizia. E’ ancora l’unico testo di questo genere in circolazione oggi, nonostante sia stato pubblicato negli anni Ottanta. E parte proprio da quel quaderno sul quale da sempre ho annotato parole e modi di dire dialettali.

Un modo per approfondire conoscenze e situazioni.

“Credo che l’approfondimento sia alla base di tutto. Si scoprono altre cose. Dalle estensioni locali si passa a livelli geografici più ampi, addirittura planetari. Pensate che, studiando alcuni proverbi che usiamo ancora oggi, ho trovato tracce di modi di dire simili, addirittura documentati a mille e duecento anni prima di Cristo. In Mesopotamia, per sottolineare il fatto che un re non riusciva ad espugnare e a prendersi la città di Mari, si diceva che era come i cani che, per fare in fretta, partoriva i cuccioli ciechi. Insomma un proverbio che usiamo, nelle nostre terre, ancora oggi, anche se riferito ai gatti”.

Modi di dire che sono diventati anche canti.

“E’ stato un divertissement in occasione di una festa dell’Unicef a Potenza. Portammo i nostri alunni alla cerimonia e, indegnamente, presentai alcune canzoni che avevo musicato personalmente il cui testo, in dialetto chiaromontese, parlava di situazioni legata alla vita agreste di tutti i giorni, alla ciclicità della natura e dei suoi eventi: la raccolta delle olive, la mietitura. Insomma le geste musicali dei nostri contadini”.

Chiaromonte è famosa, nel mondo accademico, anche per la teoria del “Familismo amorale” che lo studioso americano Edward C. Banfield ha elaborato proprio durante un soggiorno nel paese lucano.

“Eravamo vicini di casa. Ci siamo confrontati spesso. E devo dire che più di una volta ho sottolineato che, su alcune cose non sono d’accordo. Ad esempio il metodo che Banfield ha utilizzato. L’ho definita, insieme ad altri esperti, una trappola metodologica: lo studio di Banfield aveva una premessa sbagliata anche se logica”.

La valorizzazione del territorio lucano torna anche grazie a un’altra amicizia, quella con Marino di Teana, l’artista scomparso negli anni scorsi, assai noto per la sua arte in Francia, e del quale lei è il biografo ufficiale.

“Un’amicizia che parte da lontano. Ci siamo incontrati nel 1968. All’inizio pensavo che fosse un operaio emigrato come tanti altri in quegli anni, in cerca di lavoro. Usò un’espressione latina, che mi incuriosì: volevo sapere chi fosse quell’uomo. Una volta arrivati alla Collegiata Insigne di San Tommaso Apostolo, Francesco (questo il nome di battesimo di Marino da Teana, ndr) fu attratto dallo stile rigido e austero della Chiesa. Puntò lo sguardo verso l’aorgano e disse: “Come vorrei ascoltare quell’organo. Ma chi può suonarlo?” io gli risposi di non preoccuparsi e, preso lo spartito della Toccata II per l’Elevazione di G. Frescobaldi, eseguii all’organo quella melodia. Mentre suonavo, lo guardavo: Marino si era raccolto in un angolo con le mani sul volto. Sembrava estasiato. Al termine della suonata mi ringraziò e cominciò a parlare della musica rinascimentale e di quella barocca, citando i nomi di molti musicisti. Ero ancor più frastornato: non sapevo di fronte a chi mi trovavo. Usciti dalla Chiesa mi invitò a osservare il paesaggio : lo avevo visto mille volte, ma mai guardato. Poi camminando, cominciò a parlare dello Spazio, dell’energia cosmica.Capii in quel momento che mi trovavo di fronte a un uomo straordinario. Da quel momento non ci siamo mai separati” .

Un’amicizia che si è trasformata anche in rapporto di lavoro: Giovanni Percoco ha scritto saggi sull’artista di Teana che viveva in Francia. Ne ha raccontato l’estro, la sua filosofia, la sua vita. Ne conserva opere e aneddoti. Ed ha contribuito, con un suo scritto a raccontare il significato della installazione, nella sua Teana, di quattro opere dello scultore.

“Sono quattro sculture monumentali, adornano il paese di Teana: le ho raccontate con “Il periplo della scultura di Marino nel suo paese natale. Una grande opportunità per il paese e anche per la Regione, che ha voluto tutto questo: Teana, adesso, è un museo a cielo aperto, che racconta la storia artistica del suo illustre concittadino”.

 

(Un ringraziamento alla giornalista  Mariapaola Vergallito per averci messo in contatto con l’intervistato)

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