AREZZO. Un vino per valorizzare il territorio? Forse non basta. Serve altro per poter superare limiti storici che rallentano e impediscono la modernizzazione. Ma, intanto, è un punto di partenza. Un primo segnale di dinamismo. E tutto prende il via dalla ricerca. Dallo studio, quotidiano, di esperti capaci di indicare ai giovani strade nuove per una ripresa economica che, comunque, deve scommettere anche con un cambio di passo e di mentalità.

E’ questo in sintesi il lavoro che Lino Cirigliano, laurea in scienze agrarie e specializzazione in viticoltura ed enologia, ricercatore del CREA, il consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria di Arezzo, sta svolgendo da quasi trent’anni. Si occupa soprattutto di viticoltura. E da sempre ha creato un ponte tra la cittadina toscana a la Basilicata, sua terra di origine. Tanto che, pochi anni fa, al termine di un quinquennio di studi, ha potuto iscrivere, nel registro nazionale delle varietà di vite, un nuovo vitigno, autoctono, che fa riferimento a una piccola area del Parco Nazionale del Pollino.

E’ il Guarnaccino _ racconta Cirigliano _ un nuovo vitigno che ha portato a iscrizione nell’apposita registro nazionale. E’ il frutto di una disponibilità finanziaria che il Comune di Chiaromonte, dove il vitigno è diffuso, ha messo a disposizione del CREA e, quindi del Dr. Cirigliano, con l’appoggio normativo della Regione Basilicata con la quale da tempo collaboriamo per portare avanti alcuni progetti. Dopo la fase di ricerca, siamo già alla sua valorizzazione: ci sono giovani che hanno realizzato apposite aziende vitivinicole e puntano su questo nuovo vitigno. Già si possono trovare sul mercato le prime bottiglie pronte da essere degustate”.

Un frutto della ricerca, prima che della terra.

E’ il mio lavoro e quello dei miei colleghi: seguiamo la programmazione di settore in base ai finanziamenti alla ricerca che si attivano attraverso i bandi che riusciamo a vincere. La nostra missione, come quella di tutti i ricercatori, è quella di pubblicare su riviste specializzate, nazionali e non, i risultati per poi trasferire al ciclo produttivo ciò che siamo riusciti a ottenere. E questo, con il percorso fatto col Guarnaccino, sta avvenendo”.

C’è un filo diretto tra il CREA di Arezzo e la Basilicata: progetti conclusi, altri avviati. Com’è la situazione vitivinicola della regione?

Fatta salvo il contesto della DOC Vulture, le attività produttive si inseriscono in un contesto che risente di limiti storici, di una scarsa modernizzazione dei processi produttivi in senso sistemico, collettivo. E di una non sufficiente attività di pianificazione e coordinamento da parte degli organi istituzionale della regione. Devo dire, tuttavia, che un po’ di dinamismo adesso si avverte. Anche se in ritardo, qualcosa si sta muovendo”.

Nel settore del vino la Basilicata fa rima solo con… Aglianico.

No, non è così: le denominazioni sono quattro. Oltre a quella storica dell’Aglianico che riguarda l’area del Vulture, c’è una doc dell’Alta Valdagri, che riguarda i comuni di Viggiano, Grumento e Moliterno, poi c’è il Grottino di Roccanova, che lambisce i Comuni di Sant’Arcangelo e di Castronuovo Sant’Andrea, e poi c’è una doc un po’ più ampia, che riguarda tutta la provincia di Matera. Ovunque si produce, certo non tutto all’altezza di grandi vini, ma… Ovviamente, a queste produzioni s’aggiunge anche una micro realtà come quella dell’ultimo arrivato, il Guarnaccino”.

Un comparto che fa economia: ci sono potenzialità da valorizzare?

Dentro c’è di tutto: produttori storici e nuove aziende. Le potenzialità sono moltissime, ma c’è un grande ostacolo. Dal mio punto di vista, che si basa sull’esperienza e sull’analisi delle realtà dove il sistema funziona, non è prettamente una questione economica o geografica, ma soprattutto culturale. E’ legata al modo che ognuno di noi ha di vedere il mondo. Certo, non si può essere equiparati a un modello unico e vincente come quello toscano dove pubblico e privati decidono insieme, tuttavia ritengo che se l’intervento pianificatorio pubblico si inserisce con giudizio in un settore che crea economia e che diventa anche portatore di immagine di un territorio, il risultato complessivo, anche quello dei privati, assume valenza pubblica. Mi spiego: occorrerebbe operare con un modello che dà sistemicità ai processi, altrimenti si cade in autarchia e sussistenza. Ma questo richiederebbe, forse, una visione più moderna dei modi di agire”.

Un discorso che vale anche per altri settori. Carbone (paese dove Cirigliano è nato,ndr) vanta ben sette prodotti tipici. Ma non c’è una filiera produttiva, per nessuno di esso. Non c’è dunque valorizzazione.

LASCIA UNA RISPOSTA

Per favore inserisci il commento
Per favore inserisci l tuo nome