Il suo è un viaggio continuo alla scoperta dell’anima più nascosta della Basilicata. Angelo Lucano Larotonda, antropologo, studioso e scrittore, da tempo con la sua sua opera – che affonda le radici in una ricerca rigorosa – cerca di recuperare una memoria lucana fatta di tradizioni, di leggende e di superstizioni. Ne è un esempio il suo ultimo lavoro, “La maciara  indaffarata, lessico della magia lucana” (edizioni Osanna).

Per questo e per il suo impegno di ricercatore gli è stato assegnato il premio La Torre d’Argento che gli verrà consegnato a Cirigliano il 6 agosto 2017. Un riconoscimento, dice la motivazione, al suo impegno nella ricerca sulle convergenze di carattere culturale, antropologico e religioso. Cosa che Angelo Lucano Lombardo fa con distacco e ironia.

Nato a Rionero in Vulture, è stato docente di Antropologia Culturale all’Università degli Studi della Basilicata e ancor prima ha insegnato a Messina (Antropologia Economica) e a Roma (Storia del Cinema). Severo e rigoroso, come docente è stato temuto ma stimato dai suoi studenti per la sua onestà intellettuale. Ha lavorato per il cinema e la Rai – dove ha collaborato tra gli altri anche con Pier Paolo Pasolini – come documentarista e sceneggiatore, realizzando, tra l’altro, “Vita, miracoli e morte del cafone lucano.” Era stato un documentario sul rito del grano a San Giorgio Lucano a far nascere in lui l’interesse per l’antropologia visuale.

Angelo Lucano è stato membro di varie commissioni ministeriali nell’allora Ministero dello Spettacolo. A Potenza ha fondato la società concertistica Ateneo Musica Basilicata e a Satriano di Lucania ha curato l’allestimento del Museo virtuale del Pietrafesa, pittore lucano del Seicento.  Il Presidente della Repubblica gli ha conferito la medaglia di benemerito della cultura e dell’arte nel 1995.

Interessanti e numerose le sue  pubblicazioni. Tra le ultime  Feste lucane, genealogia di una identità, (Edigrafema, Policoro); Riprendiamoci la storia – Dizionario dei Lucani, (-Mondadori-Electa), e, appunto, La maciara indaffarata, lessico della magia lucana (Osanna), sua ultima fatica, pubblicata  poche settimane fa.

Perché ha voluto esplorare il mondo della magia lucana?

 L’interesse per la magia lucana mi è nato quando, da ragazzo, fui guarito dalla “maciara” del paese. Avevo gola e voce bloccate dalle tonsille gonfie. All’epoca ancora non c‘erano gli antibiotici, le medicine erano scarse e quella donna rappresentava una grande risorsa locale per molte malattie. Il medico di base non esisteva e quello del paese costava il triplo della “maciara”. La subitanea guarigione mi lasciò un segno indelebile nella memoria. Il suo ricordo mi tornò prepotente quando un amico romano – già abitavo a Roma all’epoca – per Natale mi regalò “Sud e Magia” di Ernesto de Martino, appena uscito, Era il 1959. Alcune conclusioni cui arrivava lo studioso mi suscitarono qualche perplessità, però da allora ho cominciato a guardare alla magia lucana raccogliendo materiali, anche orali.

Quale ruolo ha avuto nella società in cui si è sviluppata?

Lo spiego con una citazione del mio libro: “Per capirla [la magia lucana] bisogna partire dalla gente che abitava la regione. Quella gente era fatta di persone alla ricerca di una serenità personale spesso insidiata da altre persone di malo cuore.” E chi erano quelle persone di “malo cuore”? Quel “malo” ha due valenze. Negativa se riferita al cuore degli invidiosi, dei vendicativi, dei rancorosi, dei delusi. Positiva se riferita al cuore ‘malato’ d’amore, cioè a quelle persone che cercavano, attraverso la magia, un affetto duraturo o il soddisfacimento di un desiderio sessuale negato dalle regole sociali. Non era superstizione. Era fede. E si possono mai discutere le questioni di fede, qualunque essa sia?

Esiste una magia lucana, differente alle altre?

Vogliamo regionalizzare anche la magia? No, vi prego. Come ogni magia, quella lucana si differenzia dalle altre soltanto per alcuni tratti formali. Non di più. La base comune di tutte le forme di questo tipo di magia è la cultura popolare. Ho detto ‘questo tipo di magia’ perché essa non va confusa con la “grande magia” storica, definita “santum regnum” (santo regno) nata coi miti antichi, sviluppatasi in vario modo nel corso dei secoli e frequentata da maghi, filosofi, sacerdoti, donne ‘speciali’, massoni.

Fino a quando è stata parte dei costumi della regione?

Fino agli anni sessanta del Novecento. Il suo superamento è andato di pari passo con la trasformazione della società lucana pressata dai nuovi stili di vita, dalla scolarizzazione diffusa, dal servizio sanitario nazionale, dal terziario e… dalla TV, la quale ultima ha avuto un forte impatto. Intendiamoci, non è avvenuta una rivoluzione copernicana in quanto il potere politico ha continuato ad essere molto forte e condizionante. Però un dato è certo: lo zoccolo duro della magia lucana è stata la “miseria”, quello attuale è la “povertà”. La Basilicata continua ad essere la terra degli “ultimi” e non a caso, per rimanere in tema, la regione anche oggi ha, purtroppo, un alto numero percentuale di “maghi” professionisti privi di carisma e spesso ciarlatani ai quali non pochi lucani si rivolgono per risolvere (o credere di risolvere) qualche loro problema ben diverso dal passato.

Chi la usava e per cosa?

Chi li usava? Possiamo dire quasi tutti, quel ‘quasi’ esclude i pochi professionisti e i preti (non tutti). In un ambiente rurale condizionato da un’economia di sussistenza, da isolamento geografico, da un diffuso analfabetismo e dalla miseria generalizzata, in tale ambiente, ripeto, erano ricorrenti gli sguardi invidiosi e perciò malefici; le maldicenze inventate ma piene di cattiveria; la repressione sessuale, la mortificazione del bisogno d’amore. Per uno di tali motivi si andava dalla “maciara” a chiederle una ‘fattura’, una pozione, un qualcosa insomma capace di ristabilire l’equilibrio nelle situazioni critiche, nei turbamenti sentimentali.

Ha scritto un libro sul lessico: ci sono parole che l’hanno colpita più di altre o parole che ancora oggi fanno parte del nostro modo di comunicare?

C’è una parola che mi ha sempre preso, “fattura”. La fattura era un maleficio compiuto per ‘legare’ o ‘slegare’ un vincolo che si intendeva mettere in atto deliberatamente nei confronti di una persona terza. Erano di quattro tipi: fattura d’amore, fattura di dimenticanza, fattura di patimento, fattura di morte. Purtroppo non so farne neppure una – lo dico con ironia -.Intendiamoci, ma sono rimasto sempre affascinato, per esempio, dagli effetti che venivano generati da una ‘fattura d’amore’, la più antica delle fatture assieme alla ‘fattura di dimenticanza’. Entravano in gioco i sentimenti, le emozioni e… tutto funzionava, che si voglia credere o no. A tal proposito Dostoevskij apre le “Memorie dal sottosuolo” affermando “sono abbastanza istruito da non essere superstizioso, ma sono superstizioso”.Le antiche parole di magia lucana vengono oggi pronunciate per irriderle o come interiezione giocosa.

Oggi la magia ha un ruolo?

La magia fa parte della cultura umana. Quando scomparirà questa, scomparirà anche quella. La magia praticata in Basilicata non c’è più perché non c’è più quel tipo di società e di cultura che l’ ha alimentata per secoli. Come dicevo prima, ci sono oggi dei ‘maghi professionisti’, ma essi hanno a che fare con altri tipi di malesseri e sono soprattutto malesseri morali e spirituale legati ai bisogni creati dalla cultura attuale. Non mancano aspetti di cialtroneria e malafede (per usare un eufemismo), ma la gente ha sempre bisogno di certezze, vere o illusorie.

 Che lezione impariamo da queste pratiche che, in un certo senso rappresentavano la battaglia tra il bene e il male?

Nessuna. Quelle pratiche avevano la loro importanza perché la gente che le metteva in atto, anche quando era analfabeta, aveva cognizione del significato di bene e di male. Quella società aveva dei ‘paletti’ di pensieri e comportamenti ben precisi. Oggi i ‘paletti’ sono saltati. Lo sappiamo tutti ed è retorica strapparsi le vesti per rimpiangere quel “come eavamo”. Provate a chiedere ad un giovane che cosa significa per lui la parola ‘male’…

Emilio Chiorazzo

 

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