Scriveva a mano, di getto. Senza ripensamenti. Con una matita. Così Carlo Levi cominciò il suo Cristo si è fermato a Eboli, spinto, nel farlo, dallo scrittore fiorentino Manlio Cancogni. Era il 1944, erano passati otto anni da quando era stato mandato al confino in Basilicata. Si trovava a Firenze, ospite di Anna Maria Ichino, in una casa in piazza Pitti che aveva ospitato tante persone illustri durante la Resistenza. Il titolo lo aveva già in mente: era il concetto che gli ripetevano spesso i contadini lucani per sottolineare che il mondo, quello civile, era così lontano da loro.  Che si era fermato a 140 chilometri di distanza, in un’altra provincia e in un’altra regione.

Levi scrisse 330 cartelle. Su quel manoscritto – che oggi si trova conservato gelosamente al Centro di ricerche umanistiche Henry Ramson di Austin in Texas – aveva segnato due croci: erano in ricordo delle morti di Leone Ginszburg e del filosofo socialista Eugenio Colorno. Oltre a una poesia di William Blake e ad alcuni disegni dei suoi cari.

Erano passati otto anni. E sei ce ne sono voluti al giornalista e scrittore fiorentino Nicola Coccia, per  legare quei fili che partono da Torino, città natale di Carlo Levi, vanno in Basilicata e tornano a Firenze. Ha spulciato ogni biblioteca possibile, ogni archivio presente a Firenze, oltre a quelli sparsi per l’Italia e all’estero. E’ nato così “L’arse argille consolerai: Carlo Levi dal confino alla Liberazione di Firenze attraverso testimonianze, foto e documenti inediti”, pubblicato da Edizioni Ets e vincitore, nel 2016, del premio Levi ad Aliano.

Nicola Coccia ha cominciato a collaborare all’Avanti nel 1966. Ha lavorato nella redazione fiorentina del “Lavoro” di Genova, diretto da Sandro Pertini. Assunto alla Nazione nell’estate 1978, si è occupato dei principali fatti di cronaca che hanno segnato la storia di Firenze negli ultimi 30 anni.

Ed è proprio Firenze, il punto di partenza dell’idea che ha spinto Nicola Coccia in questa impresa.

Com’è nata l’idea del libro?

Non c’è stato solo un fatto a far scattare l’idea, ma più cose insieme. Intanto, fino agli anni Duemila, nessuno aveva scritto chi  fosse la donna che ospitava Levi a Firenze, né dove si trovava la casa. Nei tanti libri sulla Resistenza, non si parla mai di Anna Maria Ichino.  La cita Maria Luigia Guaita in una sua opera, ma con un nome tronco nel testo e un cognome diverso nelle note biografiche. Un altro imput l’ho avuto nel 2008, quando sono andato ad Aliano, per la prima volta. Ero a Matera e chiedevo informazioni: tutti sapevano dov’era il paese, ma nessuno sapeva indicarmi la strada. Quando sono arrivato ho trovato le stesse cose che Levi aveva descritto nel suo libro. Come se gli anni non fossero mai passati. E ottant’anni dopo, Cristo era ancora fermo a Eboli: c’erano la casa del confino, le scuole, la caserma dei carabinieri, la casa dei podestà.

Da lì ha iniziato a spulciare libri e documenti?

Tutti gli archivi possibili e immaginabili di Firenze. E le biblioteche. Ma anche in Basilicata a Roma, in Svizzera e negli Stati Uniti. Ho raccolto anche tante testimonianze inedite. Ho incontrato i bambini di Levi: avevano cinque o sei anni ai tempi del confino dello scrittore ad Aliano. Quando li ho visti io avevano più di ottant’anni. Mi hanno raccontato il loro incontro con “don Carlo”. C’è Giovannino, quello del quadro con Nennella, la capretta: mi ha raccontato come e perché Levi decise di dipingerlo.

Levi ci mette otto anni prima di scrivere Cristo si è fermato a Eboli: non voleva farlo?

E’ stato lo scrittore toscano Manlio Cancogni a convincerlo. Nel libro racconto anche com’è accaduto. Levi riteneva di aver raccontato l’esperienza del confino con i suoi quadri. Ma di quella gente, di quel periodo, parlava costantemente con tutti gli amici, gli intellettuali che frequentava nel suo soggiorno a Firenze”.

L’arse argille consolerai contiene anche una testimonianza inedita della figlia segreta di Carlo Levi

Nessuno l’aveva intervistata prima. Nel colloquio che abbiamo avuto e che riporto nel mio libro, racconta come  ha scoperto, in tarda età, di essere figlia dello scrittore”.

C’è anche un’altra figura, importante,  di cui racconta: si tratta del fotografo calabrese Mario Carbone.

Levi lo incontrò a una cena a Roma, insieme a Linuccia Saba. E si emozionò, perché il cognome che lo scrittore torinese aveva usato, anche nei suoi documenti falsi, quando si trovava a Parigi, era proprio Carbone. Forse lo aveva scelto perché quello era uno dei cognomi più diffusi di Grassano, il primo paese, in provincia di Matera, dove fu mandato al confino. Ma potrebbe essersi ispirato anche a un piccolo paese di meno di ottocento abitanti, nella zona del Pollino, in Lucania: Carbone, appunto.

Quell’incontro con Mario Carbone diventò amicizia.

Quanto, nel 1961 Carlo Levi fu incaricato di fare un viaggio nel Sud Italia, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, chiese di portare con sé un fotografo che avesse un occhio meridionale. Volle proprio Mario Carbone, che in quell’occasione scattò 600 fotografie, ora diventate storiche. Alcune sono diventate il Grande telero dipinto da Levi che si trova a Palazzo Lanfranchi a Matera.

Un libro, il suo, fatto di tante storie.

Ci sono piccole storie, come quelle dei contadini lucani e dell’esperienza del confino di Levi. E poi c’è la grande storia: un viaggio che parte dai trasferimenti da Torino a Firenze, in seguito allo spostamento della capitale, c’è l’aggressione a Giovanni Amendola, c’è tutta la Liberazione di Firenze. Storie che ruotano intorno alla figura di Anna Maria Ichino, la cui famiglia era originaria di Torino: nella sua casa fiorentina, tra il 1938 e il 1944 ha ospitato tanti antifascisti. Tanti intellettuali. Insomma, ogni capitolo del libro è una sorpresa. Come lo è stato per me, mentre effettuavo le ricerche: e questo è ciò che volevo trasmettere ai lettori”.

Il libro di Nicola Coccia, “L’arse argille consolerai”  verrà presentato venerdì 29 settembre alla Coop di Gavinana. E poi, nelle prossime settimane a San Piero a Sieve e a Borgo San Lorenzo. Ma l’autore sarà presente, tra novembre e dicembre,in Basilicata (in occasione dell’edizione 2017 del premio Levi), dove incontrerà i lettori e alcune scolaresche.

Emilio Chiorazzo

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