La lotta per i diritti sul lavoro e quella per non lasciarsi imbrigliare dalla rassegnazione: ieri, come oggi. Siamo nella Toscana del Sud, tra Grosseto e Siena, negli anni che vanno dal 1914 al Biennio Rosso, ovvero il periodo compreso fra il 1919 e il 1920. Un periodo di grande fermento, animato da una serie di lotte operaie e contadine che, nel settembre 1920, culminarono con l’occupazione delle fabbriche.
E’ questa la cornice di “Nelle zone temperate” (Editrice Stampa Alternativa), romanzo d’esordio di David Parri, docente di Lettere al Liceo Scientifico Il Pontormo di Empoli, esperto di Storia dell’Arte e Letteratura.
L’ambiente è proprio quello del lavoro: siamo in un centro minerario. Qui i lavoratori sono in rivolta contro lo sfruttamento e combattono per la rivendicazione dei loro diritti. Sono in lotta per la vita. Parri affida la sua storia a quattro personaggi: Ordigno, Annibale, Esther e Saverio. Tutti si ritroveranno volontari nella Guerra di Spagna, dopo aver conosciuto l’ascesa del fascismo, la clandestinità, l’esilio. L’autore ne racconta le decisioni, le scelte di vita.
Su un altro piano temporale si snoda, poi, la vicenda di Fausto, nipote di Saverio. La sua è un’esistenza grigia e precaria, alla quale si adatta. Fausto assiste all’erosione della propria dignità, rimanendo indifferente anche di fronte alla forza della memoria che, nel romanzo, è racchiusa nei ricordi di un vecchio. Un reduce della Guerra civile che aveva conosciuto suo nonno. Una scoperta fortuita sembrerà però dare alla vita di Fausto l’indirizzo desiderato.
“Nelle zone temperate” offre spunti di riflessione su un presente incerto ed un passato illuminato dalle scelte e dall’impegno di uomini immersi nel ferro e nel fuoco di inizio Novecento.
E’ il suo primo romanzo?
Sì, in precedenza avevo scritto solo saggi di Storia dell’Arte o di Letteratura. E, insieme a Giovanni Lopez – docente anch’egli di Lettere al Liceo Il Pontormo – ho scritto un testo teatrale poi messo in scena dallo stesso Lopez. Ho impiegato un paio di anni a realizzarlo. Ho cominciato a pensarci nell’estate del 2014, l’ho finito ad agosto di un anno fa.
Com’è nata l’idea?
Direi da una serie di situazioni che si intrecciano. Alcuni anni fa mi sono trovato a leggere un libro dell’Isgrec, l’Istituto grossetano per la Resistenza e la storia contemporanea, che raccontava le vicende degli antifascisti toscani nella guerra civile in Spagna. Mi colpirono un paio di cose: in quelle pagine erano condensate le esistenze di uomini che avevano fatto cose impressionanti, anche per noi contemporanei. Uomini che avevano fatto scelte fondamentali in un tempo in cui scegliere non era facile. Mi colpì la loro passione civile e politica, che trovava corrispondenza anche nelle loro azioni. E rimasi colpito dal fatto che avessero compiuto scelte di resistenza molto prima della Resistenza per come la intendiamo noi. Erano adulti, non mossi dall’incoscienza che possono avere i giovani. Avevano famiglia, avevano figli. Avrebbero potuto intraprendere strade più comode, come siamo abituati a fare tutti noi, che spesso abbiamo paura a fare anche piccole cose per il bene della famiglia. Invece, loro, erano andati oltre. Questo mi ha fatto riflettere.
Una storia che ripercorre situazioni e motivi di sempre?
Certo. Nello stesso periodo in cui scrivevo queste storie, valutavo anche la continua e quotidiana erosione dei diritti sul lavoro. E l’accettazione, da parte di molte persone in difficoltà, di prestazioni e incarichi sottopagati. Mi colpì molto l’episodio dei giovani che erano stati assunti per tre mesi all’Expo, ai quali venne detto che avrebbero potuto lavorare anche gratis, perché si trattava di una bella occasione. Mi chiedevo come abbiamo fatto, noi, Paese anche ampiamente scolarizzato ad accettare questo. Ho cominciato a riflettere su un mio percorso personale: anche nel mondo universitario siamo disposti ad accettare percorsi professionali poco riconosciuti sul piano economico e svalutati spesso sul fronte dei diritti . Penso alle gavette interminabili per incarichi che, il più delle volte, non hanno sbocco. Accettiamo tutto questo barattandolo con cosa? Da questa domanda si è sviluppato il racconto che ha dato vita al personaggio giovane.
Nel romanzo, alla fine, Lei indica una strada? C’è una risposta a tutto questo?
No. Assolutamente no. Non volevo fare un finale consolatorio, avrei potuto pensare a un’insurrezione solitaria del protagonista, che ci mettesse in pace con noi stessi. Il giovane personaggio, invece, vede le pecche correlate a queste tristi situazioni, ne vede i difetti ma, tendenzialmente, gli sta bene così. E’ uno che lavora per diventare un arrogante.
Che poi è realistico …
Alla fine accettiamo tutto, ed è purtroppo un’accettazione passiva. Invece occorrerebbe cominciare a parlare dei diritti sul lavoro considerando anche altri aspetti. Specie per certe attività, quelle cosiddette improduttive.
La scelta geografica ha riferimenti personali?
Ho voluto una Toscana non definita. Parte della mia famiglia è dell’Amiata, i miei bisnonni erano minatori. Nel libro è confluita, in parte con alcuni ricordi, la storia della mia famiglia.
Cosa sono le zone temperate del titolo?
Un riferimento all’umanità. Quella del titolo è stata una scelta duplice. Ho preso spunto da ciò che l’anglista Mario Praz diceva di D’annunzio, sul quale anche io ho scritto, in passato, un saggio. E cioè che nei suoi scritti mancavano proprio le zone temperate che si possono definire umanità. E poi un riferimento geografico per sottolineare, in maniera ironica, un atteggiamento della sinistra italiana, troppo spesso impegnata a cercare i suoi miti e i suoi punti di riferimento, come ha fatto nel Novecento, lontano da casa, dall’altra parte del mondo, altrove. Ma si possono trovare esempi importanti anche nelle zone temperate, che in geografia definisce il clima europeo.
“Nelle zone temperate” (pubblicato da Stampa Alternativa nella collana Eretica speciale) sarà presentato da David Parri venerdì 6 ottobre 2017, alle ore 18:30, alla Libreria Rinascita di via Ridolfi 53 a Empoli.