Si può ridere di se stessi, delle disavventure e dei propri guai. Ma, soprattutto, si può far sorridere gli altri. E non per questo sminuire i problemi e le angosce che ci attanagliano. Anzi… E’ questo il terreno che Lucia De Gregorio, insegnante, giornalista e scrittrice lucana, ha scelto per raccontare la sua esperienza da precaria della scuola. Una condizione che accomuna tantissimi insegnanti. E che da un po’ di tempo è diventato un libro. “Va’ dove ti porta il ruolo. Avventure semiserie di una docente precaria nella Repubblica delle banane” è il lavoro che Lucia De Gregorio ha pubblicato per Giraldi editore. E’ una specie di diario di quel che succede agli insegnanti nel nostro paese, la Repubblica delle banane, appunto.
Il libro – che ha una gustosa prefazione scritta da Marco Travaglio – racconta le tappe che ogni docente deve percorrere per raggiungere l’agognato ruolo: il concorsone, le supplenze, il sussidio di disoccupazione, le assegnazioni annuali e, quella valigia, con l’essenziale, mai col superfluo, sempre a portata di mano.
Messa così, uno potrebbe anche pensare che, in fondo, la vita dei docenti non è… da buttar via. C’è la possibilità di girare l’Italia, di scegliere in quale posto mettere radici, di farsi lunghe vacanze tra la fine dell’anno scolastico e l’arrivo di una nuova supplenza, l’anno successivo.
Se penso alla mia condizione di single, può anche andar bene, fino a un certo punto. Ma in giro per l’Italia ci sono madri e mogli con figli piccoli e con scarse possibilità di avvicinarsi a casa.
Tutta colpa di un algoritmo….
Di una riforma che è la fonte di tanti guai. Succede anche di veder assegnare a chi arriva dopo di te un posto più vicino a casa tua, rispetto a quel che ci è toccato, pur scegliendo prima.
Però, insisto con la provocazione: alla fine si può scegliere il posto che più piace. Ad esempio una bella località di mare.Così dalla Lucania, ecco la Toscana, con Livorno, il porto, i suoi monumenti e le belle città d’arte vicine. Non male, no?
Ma è la Costituzione che lo sancisce questo: ciascuno può scegliere come domicilio qualunque posto. In realtà, attendiamo in gloria un nuovo governo che si occupi di scuola in maniera diversa: il disincanto da parte del corpo docente è forte. Penso che proprio il malessere degli insegnanti può aver pesato nel fallimento del referendum costituzionale del dicembre scorso. Io mi sento profondamente lucana. Non rinnego la mia lucanità. Ma rivendico il sentirmi cittadina del mondo. E sono affezionata alla Toscana che mi ha dato il ruolo. E tra le tante opportunità, anche quella di scrivere un libro. Mi ha mostrato le bellezze di una Italia che altrimenti non avrei conosciuto appieno. La possibilità di scegliere e cambiare posto c’è: io stessa non so dove, alla fine, metterò le tende .
La situazione dunque, non è cambiata rispetto a quanto racconta nel suo libro?
Anzi, è peggiorata. Fatto salvo il mio caso di donna libera, immaginate che a ottobre 2017 ci sono ancora persone con figli piccoli che non sono riusciti a rientrare vicino casa e che a volte meditano addirittura di mollare il ruolo: con 1.300 euro al mese di stipendio non si riesce a vivere in città come Milano o Torino, con l’affitto e le altre spese da pagare.
E poi c’è quel male tutto italiano, la supplentite.
E’ una malattia che persiste. Ci sono scuole che ancora oggi devono convocare i supplenti: come si concilia col fatto che molti vorrebbero tornare al Sud? Hanno fatto passare per riforma ciò che l’Europa ci ha imposto. Ci hanno detto: avete reiterato i contratti a tempo determinato per più di tre anni? Sì. E allora dovete passare questa gente a tempo indeterminato. Questo pena una sanzione. Quindi andava fatto. Ma si poteva fare in maniera migliore
Ad esempio?
Invece di mettere a ruolo tanta gente per vuotare le graduatorie che si erano riempite all’inverosimile, specie per alcune discipline tecniche, che erano diventate il rifugio di professionisti che non avevano avuto altri sbocchi professionali, creando la figura del potenziatore, cioè insegnanti che se ne stanno in sala docenti in attesa di supplenza. Era meglio abbassare il numero di alunni per classi, anziché avere le classi pollaio e impiegare realmente in maniera utile questi docenti.
C’è chi per sfuggire a questo si mette in malattia. Le maternità, nella scuola, sono sempre più spesso a rischio e lunghissime.
Io sono molto imbelvita verso chi sottolinea questa cosa degli insegnanti che si mettono in maternità difficile. La maternità è un diritto. Altrove viene incoraggiata e in Italia si ricorre a certi mezzucci. Io ho lavorato grazie alle maternità. Sapeste quante sere ho dedicato le mie preghiere alla collega che sostituivo, perché in stato interessante e a casa in maternità a rischio: la sua condizione creava occupazione per me.
Le sue preghiere sono rivolte a un santo particolare: San Sussidio?
Sì. I precari della scuola a luglio e ad agosto restano senza stipendio. Vieni pagato, se hai un incarico annuale, da settembre a giugno. Poi ti licenziano e aspetti l’anno dopo, il nuovo incarico. Ma la Repubblica della Banana ha previsto un contentino, il sussidio della disoccupazione. E io mi sono immaginato questo sussidio come un Santo che dall’alto dispensava l’aiuto…
Spera che un nuovo governo possa mettere le mani alla riforma della scuola: quale consiglio si sente di dare?
Non sono presuntuosa ma credo che andrebbero messi dei paletti: farla fare a chi di scuola capisce perché c’è stato. Cercare di fare una riforma senza dipendere dal Ministero di economia e finanza. Se si spende più per le armi che per l‘istruzione si va poco lontano. L’Italia sta sprofondando nell’ignoranza, ce lo dicono ricerche e studi importanti; stiamo sprofondando in un baratro di ignoranza. Quello del docente è un lavoro nobile e impegnativo. Va sottolineato questo. Occorre passare anche da un aumento della retribuzione per gli insegnanti. Diminuire gli alunni,potenziare il tempo prolungato, le attività pomeridiane: La scuola deve diventare il fulcro della società, come momento formativo, però, non come parcheggio per i figli, come credono alcuni genitori.
Nelle scelte, gli insegnanti del sud, spesso indicano località del Nord perché offrono più sbocchi: Domodossola è per lei come Cuneo lo era per Totò nelle sue battute.
All’inizio avevo indicato Domodossola, Bolzano e poi Grosseto, quando ce n’è stata data la possibilità. Ho avuto chiamate da Verbania e Bolzano. Ma da vera terrona, sembrava troppo nord. Rimasi in Basilicata un altro anno e poi l’anno dopo scelsi la Toscana.
Perché per raccontare le brutture della scuola ha scelto uno stile ironico (una prosa frizzante e divertente dice Marco Travaglio nella sua prefazione), anziché far trasparire l’arrabbiatura che c’è?
Due i motivi. Il primo è perché non riesco a scrivere diversamente. Non è un vanto, a volte rappresenta dei limiti. Ma credo che l’argomento fosse così spinoso e pesante, fonte di angoscia che ho deciso di raccontarlo in maniera meno seria. Non vuol dire sminuire quel che è stato detto. Credo che l’ironia sia l’unica vera lente con cui si possono vivere i nostri giorni pieni di dissidi, amarezze e conflitti.
Il suo libro sta ottenendo grandi consensi. Sta già lavorando ad altro?
Ho delle idee in testa. Ma c’è differenza tra quel che è in potenza e quel che è in atto. In testa mi è tutto molto chiaro. Ma quando mi metto davanti al computer mi rendo conto che sono spunti ancora acerbi.
Emilio Chiorazzo