La memoria può essere racchiusa in uno sguardo. O in una ruga. Sicuramente in un pensiero. E tutto può essere raccolto da un’immagine. Uno scatto, una foto. In ognuno di noi c’è un album dei ricordi personali fatto di sentimenti e uno collettivo, dove le emozioni sono condivise: è questo che Giovanni Mitolo, 26 anni, nato a Monza da genitori lucani,  cerca di fare. Lui lavora come fotografo in uno studio di Milano. Si occupa di campagne pubblicitarie. Ma i volti che ha immortalato, nel paese di origine dei suoi parenti, Carbone, lo hanno ispirato. Perché in quelle rughe e in quegli occhi ci vede il passato, un po’ della sua e della nostra storia. Anche se, in quegli scatti Giovanni vuole trovarci anche la strada per il futuro. Insomma uno scrigno prezioso da consegnare a chi arriva dopo di noi. Un lavoro che può diventare archivio e museo di un tempo che ci scorre davanti e che deve lasciare un segno. “Ho iniziato a lavorare come fotografo, in uno studio professionale di corso Como a Milano dopo l’Università, nel 2013. Era una passione che mi portavo dietro da sempre. Alle superiori ho fatto l’istituto d’arte. Ho capito che la fotografia tra le varie arti era quella che mi piaceva di più: ho frequentato per tre anni l’Accademia di Brera dove mi sono laureato con una tesi in fotografia sull’architettura milanese. Poi sono entrato nel mondo del lavoro”, racconta Giovanni Mitolo. Quelle foto vuol farle diventare museo della memoria di un paesino all’interno del parco del Pollino che, come tanti altri si spopola di giovani inesorabilmente. Una mostra permanente o un libro da consegnare alla memoria.

“L’idea c’è. E’ in fase di costruzione _ dice _  Vado ogni anno a Carbone, i miei genitori sono di lì. Mi è sempre piaciuta l’idea di fotografare gli anziani del paese. Quest’anno mi sono deciso, ho portato giù l’attrezzatura e ho fatto alcuni scatti. Poi, insieme al sindaco del paese abbiamo pensato che questo materiale possa diventare una mostra oppure un libro. Vediamo”.

I volti degli anziani a segnalare il tempo che passa.

La mia idea è quella di abbinare a ogni fotografia un pensiero sul tema Carbone, ieri, oggi e…. in modo da dare a ogni soggetto fotografato la possibilità di raccontare com’è per loro il futuro, come vedono il mondo che li circonda tra dieci anni.

Qual è stata la spinta professionale?

Mi piacerebbe che rimanesse la loro immagine così come li vediamo ora. Sono le immagini che io mi porto dentro dei miei parenti,  dei nonni. Molti di loro non escono più  per strada, passano le giornate a casa. La gente non sa chi sono: ecco l’idea è quella di dare loro un volto e una voce…

Il riferimento è alle frasi che saranno abbinate alle immagini?

Beh, sì. Mi piacerebbe molto che fossero loro a raccontare un po’ del loro passato ma soprattutto il futuro.

C’è un volto o una storia che le è rimasta dentro mentre scattava le foto.

La prima foto l’ho fatta a mio nonno. E’ una persona molto riservata, difficilmente si spinge in chiacchiere. Quando gli ho chiesto di fotografarlo mi aspettavo un no secco, invece mi ha detto subito sì. Quella reazione un po’ inaspettata mi ha spinto a continuare. Più che storie individuali ho trovato naturalezza e disponibilità da parte delle persone anziane che si sono fatte fotografare. Mi aspettavo resistenza, invece, erano tutti contenti e orgogliosi di fare … i modelli. Però un episodio che mi ha colpito c’è:  un giorno io insieme a due ragazzi che avevo portato con me per farmi dare un amano, ci siamo avvicinati a una vecchietta chiedendole di farsi fotografare. All’inizio era titubante, poi mi ha detto va bene. Per farla sciogliere un po’ le ho mostrato le foto degli altri soggetti. Lei mi ha risposto timidamente: ma io non ci vedo. Ma dopo gli scatti mi ha chiesto di poter vedere quel che avevo fatto. Mi sono avvicinato, le ho messo davanti le foto e lei mi ha detto: saranno sicuramente belle, tanto io non ci vedo.

E adesso?

Spero di catturare, come ho fatto con le loro immagini, anche i loro pensieri.

Emilio Chiorazzo

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