Quando Giuseppe De Cicco arrivò a Rio De Janeiro aveva appena diciotto anni. Era il 1924. Arrivava da Carbone, un piccolo paese della Basilicata. Aveva viaggiato a bordo del transatlantico Tommaso di Savoia, partito da Genova. Nell’unico bagaglio che portava con sé aveva messo pochi indumenti e un paio di strumenti di lavoro: un metro a nastro, flessibile, un gessetto e un paio di forbici con la lama lunga e spessa, per tagliare tessuti. Giuseppe era un sarto.
In quel periodo, a Rio, ce n’erano solo quattro che esercitavano. Cinque anni dopo se ne contavano, in città, 469. E nel 1942 il numero era salito a 777. Merito anche di quel giovane emigrante lucano, che – arrivato povero – era stato capace di imporre, dopo un lungo periodo di ristrettezze economiche, gusti e stile, al punto da diventare una griffe e di generare anche imitazioni del suo marchio. José è così perfetto nel confezionare i suoi abiti, da meritarsi il nomignolo di Pitanguy delle forbici, in onore al grande chirurgo e scrittore brasiliano.
La storia di Giuseppe De Cicco è raccontata in un libro dal giornalista e scrittore brasiliano Gustavo Camargo “Um Alfaiate No Palacio do Catete: Historia de Giuseppe De Cicco O mestres das tesouras no pais dos elegantes” – ovvero – “Giuseppe De Cicco, il sarto dei presidenti: il maestro delle forbici nel paese dell’eleganza”, scritto in collaborazione con il figlio del sarto lucano Felice De Cicco.
Camargo racconta – ricostruendola attraverso le testimonianze dei familiari e le cronache dei giornali dell’epoca – la vita di questo sarto lucano, che, dopo aver iniziato riparando gli abiti, per il suo percorso professionale viene considerato uno dei personaggi importanti della Repubblica brasiliana.
Con il piglio del ricercatore, il giornalista e scrittore coglie l’occasione anche di narrare la storia della sartoria brasiliana, nel contesto delle vicende politiche brasiliane e dei conflitti del ventesimo secolo.
Fu Getulio Vargas, presidente del Brasile per due periodi, dal 3 novembre 1930 al 29 ottobre 1945 e dal 31 gennaio 1951 al 24 agosto 1954, a far emergere nel settore della sartoria il talento di Giuseppe De Cicco. Il suo laboratorio, atelier come diremmo oggi, si trovava in un salotto al secondo piano di un alloggio al numero 637 di viale Nostra Signora di Copacabana.
Getulio Vargas si era fatto confezionare da Giuseppe vestiti e cappotti. Ma anche la toga che, da avvocato, indossò nella celebrazione del suo ingresso all’Accademia Brasiliana di Lettere. Era il 1943. Pochi anni dopo, nel 1950, stava per affrontare una impegnativa campagna elettorale. Nel frattempo aveva messo su un po’ di chili: chiamò il suo sarto di fiducia a Sao Borja, Rio Grande do Sul per farsi realizzare un nuovo corredo di abiti. Accadde qualcosa che portò alla rottura dei rapporti tra il sarto e il presidente. Forse un rifiuto per un ordine dell’ultim’ora. Forse perché Getulio Vargas lo preferì a un altro italiano, il sarto Luigi Trota. Del divorzio si occuparono anche i giornali dell’epoca che imputarono il litigio ai prezzi troppo disinvolti praticati da José De Cicco. Per l’autore del libro, invece, fu Roberto Alves, segretario del presidente Getulio, l’istigatore di questo conflitto, scaturito proprio da un rifiuto del sarto a una richiesta dell’ultimo minuto.
Felice De Cicco, figlio di Giuseppe – che ha aiutato Gustavo Camargo nella ricostruzione della biografia del padre – descrive così il sarto carbonese: “Lui conosceva l’anatomia di ogni cliente. Come se fosse un fisioterapista, sapeva chi aveva una gamba più corta o una spalla più bassa. Aveva questo dono che gli valse l’appellativo di stilista”. Giuseppe era discreto, era una sorta di “psicologo” dei suoi famosi clienti. Faceva il consulente di moda maschile per giornali e riviste di Rio de Janeiro.
Consigliava, a chi era magro, di indossare giacche a tre bottoni. Ai più corpulenti spiegava che la giacca con due bottoni dava l’impressione di assottigliare chi la indossava.
Felice non ha seguito le orme del padre: ha dedicato il suo tempo allo studio, ha una laurea in ingegneria. “Se avessi scelto di fare il sarto _ racconta – certamente avrei guadagnato molto di più. Nei tempi d’oro, l’atelier fatturava più o meno centomila dollari americani al mese”
Ma Giuseppe De Cicco aveva una passione sfrenata per le donne e il gioco d’azzardo. Buona parte di quei soldi finivano al casino e nei locali notturni. “Lavorava, mangiava e giocava. Era un uomo che si trascurava. Fumava troppo”.
Tra i suoi clienti c’erano persone famose: l’ex presidente del Flamengo, Mario Braga (che ha curato anche la prefazione del libro) era un assiduo frequentatore del suo atelier. Fece il suo primo vestito con De Cicco nel 1954 e rimase suo estimatore per decenni. “Indossare un De Cicco è un segno distintivo”. Uno status symbol diremmo oggi. Così tanto che un suo ex allievo provò anche a realizzare abiti che poi marchiava con un nome che non era altro che l’imitazione di quello del suo maestro: “Chico De”.
Giuseppe fu il sarto dei presidenti e di tanti onorevoli della Repubblica, alleati o rivali. O addirittura avversari accaniti. Vestivano i suoi abiti Getulio Vargas e Carlos Lacerda, acerrimo avversario, la cui battaglia politica d’opposizione spinse il presidente, nell’agosto del 1954, a togliersi la vita. Avversari ma uniti nell’apprezzamento dei vestiti De Cicco, perché sapevano entrambi che l’immagine è potenza. Lo sapevano anche personaggi della politica, della diplomazia, degli affari e del giornalismo, della cultura o della “dolce vita” brasiliana. Tutti volevano un “De Cicco”. De Ciccò vestì il generale Joao Baptista Figueiredo, Heleno De Freitas, Joao Saldanha, Roberto Burle Marx, Paolo Gracindo, Chuarlos Chagas Filho e il principe Ali Khan, marito di Rita Hayworth, tra gli altri.
“Il suo atelier – spiega Mario Braga nella prefazione – era la meta di quelli che avevano allure e di quelli che ne volevano avere”.
A Giuseppe De Cicco si deve la creazione del frac corto, indossato ancora oggi nelle cerimonie di nozze: l’intuizione nasce dall’esigenza di non buttar via un’antica giacca lasciata abbandonata in fondo a un armadio. Quel “cut-off” – un frac senza coda – fu accolto con grande stupore tra i colleghi e i concorrenti di De Cicco. Fu realizzato per il giornalista Ibrahim Sued che, nel 1958, sposò Glorinha Drummond, eletta Miss Brasile pochi anni prima.
Alla morte di Getullio, José diventa una sorta di celebrità della moda. I giornali si occupano di lui per un “braccio di ferro” con il famoso connazionale Angelo Litrico, in visita a Rio De Janeiro; perché si è trovato a combattere la pirateria (un ex assistente di nome Francisco creato un marchio, Chico De, che richiama quello più famoso e richiesto del suo maestro) e finisce sulla bocca della gente per la sua frequentazione di un club di nudisti creato da Luz del Fuego sul Ilha do Sol, nella baia di Guanabara.
Dopo la sua morte – avvenuta per edema polmonare su un tavolo di baccarat, nel 1971, a 65 anni – l’atelier di Rio è stato tenuto in vita dal nipote Lourenco, fino al 1994.
Emilio Chiorazzo