“Avete mai provato a guidare lungo le strade della Basilicata? Puoi percorrere chilometri e chilometri senza incontrare mai un traliccio della corrente. E quello che ti circonda è magnifico. Sorprendente”.
Vincenzo Lerose, 34 anni, filmmaker e musicista torinese, il legame con la Lucania ce l’ha da sempre: suo papà è di Grassano, un paesino in provincia di Matera, primo luogo lucano dove Carlo Levi fu inviato al confino durante il regime fascista. Qui Vincenzo andava quand’era piccolo, sia d’estate che d’inverno, a trascorrere le vacanze. E qui ha preso corpo il suo primo documentario, “Mio cugino è il sindaco di New York” , che racconta l’emigrazione dei giovani, lo spopolamento dei paesi, oggi come cent’anni fa. E’ questo il tema di partenza che ruota intorno alla visita che quattro anni fa, poco dopo essere stato eletto sindaco di New York, Bill De Blasio fece a Grassano, paese di origine della sua famiglia.
Come nasce il suo film?
Per un po’ di anni mi sono occupato di riprese e montaggio video. Ho studiato anche da tecnico del suono. Essendo un grande fruitore di cinema, a un certo punto ho sentito l’esigenza di raccontare qualcosa dal vero. Avevo stretto rapporti con un collega video maker Andrea Deaglio che è regista e produttore di documentari. Aveva iniziato ad aiutarmi a sviluppare alcuni temi per possibili documentari. Uno di questi era sull’emigrazione giovanile al Sud e non solo. Il caso ha voluto che mentre ragionavamo su questi temi, nell’autunno del 2013, De Blasio divenne sindaco di New York. Ricordo che un giorno mio padre mi chiamò per dirmi che quell’uomo eletto sindaco a New York era originario di Grassano. Questo mi ha dato la spinta a mettermi in viaggio e confrontarmi con un primo progetto, che poi è quello portato a termine. A maggio dell’anno dopo sono andato a Grassano, per effettuare un primo scouting. E quando De Blasio è andato a far visita a Grassano, io c’ero.
Qual è la storia al centro del film?
Il documentario gira attorno all’attesa di questo evento e al giorno stesso dell’evento. Nel frattempo in modo inaspettato ho avuto modo di conoscere dei giovani del posto. A Grassano c’è Vox Populi, un’associazione di ragazzi, che in parte vivono ancora nel paese; altri sono fuori per studio o per lavoro. Insieme trovano il modo di lavorare a iniziative che servono a tenere vitale l’attività giovanile del paese. Mentre andavo a Grassano uno di loro, Michele, mi ha contattato e mi ha dato riferimenti importanti per il mio lavoro. Mi ha dato un gancio per iniziare a seguire delle storie. Ad esempio mi ha raccontato che De Blasio era già stato in passato in paese a trovare i suoi parenti. Poi ho seguito altre storie: il documentario si concentra su queste. Sulla gente che continua a lasciare la Basilicata proprio come avveniva cento anni fa. La visita di De Blasio diventa una scusa per raccontare questo.
E’ un progetto che ritiene completo?
No, ci piacerebbe dare un seguito a tutto questo. Continuo a sentire e a tenere contatti con i giovani protagonisti del documentario. Le loro storie a volte hanno anche delle pieghe inaspettate. La carriera di De Blasio, in parallelo a quella dei ragazzi di Grassano, potrebbe essere il pretesto per raccontare delle storie, per fare un punto sul futuro di questi ragazzi. Questo è il tema: non riguarda solo Grassano, ma la Basilicata e il Sud.
Che vita ha avuto il film?
Intanto c’è da dire che lo abbiamo realizzato con un budget basso. E’ stato proiettato in giro, in alcuni festival e manifestazioni indipendenti. A Torino nel 2016 alla al suo debutto abbiamo vinto al “gLocal Film Festival” il premio del pubblico come miglior documentario. L’anno scorso siamo riusciti a portarlo al New York Independent Film Festival. E’ stato interessante perché da quando ho scelto questo titolo l’eventualità di portare il film a New York ha iniziato a manifestarsi come un sogno.
Quindi ha avuto modo di incontrare il sindaco?
Ho avuto solo un incontro istituzionale. De Blasio ha un’agenda pienissima di impegni. Non l’ho incontrato. Ho intrattenuto rapporti, mentre preparavo il film, con una gentilissima referente della Municipalità di New York. Quando sono andato là ho tentato di invitarlo alla proiezione e successivamente di incontrarlo. Non è stato possibile. Mi hanno accordato un incontro istituzionale: avevo la possibilità di consegnare al suo staff un messaggio per lui, con la garanzia che l’avrebbe letto. Quando sono andato a New York sono stato invitato dall’ufficio affari esteri. Lì ho incontrato la referente ho consegnato un messaggio scritto a mano per De Blasio. Sono tornato a casa e me n’ero addirittura dimenticato. Due mesi dopo è arrivata la risposta di De Blasio: ho avuto la certezza che avesse letto il mio messaggio.
Lui sa del film?
Lui e il suo ufficio lo sanno. Durante la produzione una giornalista del New York Post mi intervistò. Lo staff del sindaco mi ha contattato per sapere di che si trattava, volevano rassicurarsi credo. Ora vorrei sfruttare questa opportunità, questo primo contatto. Il seguito del film, che avrà una valenza sociale, seguirà lo sviluppo delle storie delle persone. Mi piacerebbe che ci si rapportasse con New York.
Oltre ad un probabile seguito suo documentario sta seguendo altri progetti?
La mia passione principale è quella del viaggio e del reportage: mi piace utilizzare il linguaggio cinematografico per viaggiare e trovare storie interessanti. Con un obiettivo: prima voglio capire io, poi far capire agli altri. Questo è il valore che io do a questo tipo di cinema: instillare negli altri la volontà di mettersi in cammino. Un buon documentare non deve dare necessariamente delle risposte, ma far nascere delle domande, spingere chi lo guarda a cercare delle risposte. Se poi questi sforzi sfociano in video o documentari lunghi che finiscono al cinema, ancora non lo so. Rifletto spesso su un limite che mostrano i documentari: spesso sono presentati solo in alcuni ambienti predefiniti; vengono visti solo da addetti ai lavori, da amanti del genere. Invece occorre trovare un modo per farli vedere a tante persone, magari coinvolgendo gli studenti nelle scuole, avvicinandosi ai più giovani. Il circuito dei festival va bene, ma anche uscirne fuori e aprire a tutti è una strada da percorrere. Sto provando a scrivere il mio primo cortometraggio. Entro questa estate vorrei cominciare a girarlo.
Cosa pensa del fiorire di cinematografia in Basilicata?
Il film ha ricevuto un piccolo supporto, da Lucania film commission. Fanno un gran lavoro. Ci tengo a sottolineare che Paride Leporace, il direttore, ha creduto in questo progetto e con un contributo importante per noi, Lucana Film Commission ci ha permesso di portarlo a termine. Da questo incontro in poi ho avuto modo di tenere sotto gli occhi quel che fa la Film commission: sta facendo germogliare il cinema in Basilicata. Paride è un uomo di cultura e un vero amante del cinema, incoraggia costantemente la visione e la lettura di cose interessante e da quando ci siamo incontrati alla presentazione grassanese del documentario mi sono sentito davvero parte di qualcosa, e non è certo l’unico, fortunatamente per gli amanti del cinema l’italia è ricca di persone che hanno a cuore la settima arte, e io sono stato fortunato perchè l’altra persona con cui mi sono interfacciato per essere aiutato in questo cammino è Paolo Manera della Film Commission Torino Piemonte, un “preso bene” come diremmo noi a Torino, un entusiasta che mi ha supportato durante lo sviluppo del progetto: vederlo durante la premiazione del gLocal Film Festival è stato molto bello. Fortunatamente è molta la gente che ha a cuore il destino dei registi in erba. Tornando ai perchè del successo del cinema lucano, la Basilicata ha uno specifico paesaggistico unico al mondo. Puoi guidare per chilometri senza vedere un traliccio. Anche per questo attira la produzione dei film a fondo storico. La regione, la bravura della Lucania film commissione e la sagacia del suo direttore, unito a un fortunoso evento come Matera 2019, fanno sì che la scena del cinema lucano, all’interno della scena del cinema italiano, permette di far nascere cose molto belle. Facendo questo film ho maturato un grande orgoglio per i miei corregionali. Sono persone semplici, lavoratori, onesti, hanno spirito ironico e fatalista. Operosi senza troppi fronzoli.
Nei giorni scorsi ha presentato il film “Mio cugino è il sindaco di New York” a Siena, a una platea di lucani, tra i quali anche il presidente dell’Associazione dei lucni nel mondo: che vita avrà adesso questo progetto?
Ho chiuso un accordo con un portale americano che si chiama Fandor.com network del cinema d’autore e film che transitano per i festival ma hanno poca esposizione: purtroppo è accessibile solo da Usa e Canada. In Italia non ho avuto accordi simili. Penso che da ora in avanti sarà possibile vederlo sul sito personale o sul sito di Mufilm.it, entrambi portano alla piattaforma Vimeo on demand, dove “Mio cugino è il sindaco di New York” si può noleggiare per un mese con un piccolo contributo. Siena è un punto di partenza per un possibile tour nei circoli delle associazioni dei lucani nel mondo.