Renanera con Vittorio De Scalzi e I Neri per caso durante lo spettacolo al teatro San Carlo di Napoli

La parola che ricorre più spesso è ricerca. Ma anche territorio e contaminazione. La musica dei Renanera si muove su questi binari. Prodotta da Antonio Deodati, la band, è composta da sei elementi: Unaderosa è la voce del gruppo. Ma è soprattutto autrice dei brani e moglie di Antonio Deodati. Ci sono poi Alberto Oriolo, violino, tammorra e cori, Massimo Catalano, chitarra acustica, mandolino e cori, Pierpaolo Grezzi, percussioni e Eugenia Ucchino, danzatrice. I Renanera propongono musica di matrice popolare. “Direi etno-pop”, è la definizione che ne fa Antonio Deodati, che oltre a essere musicista e produttore è anche l’arrangiatore delle proposte dei Renanera. “È musica popolare contaminata dall’elettronica”.

E questo è ciò che dice anche il loro logo, un simbolo che è la sintesi sonora dei due generi: una spirale, che è il simbolo ricorrente nell’iconografia legata della taranta, quindi della musica popolare che diventa quadrato, come i microchip dei computers e dei sintetizzatori che vengono utilizzati per produrre musica elettronica. A completare il quadro ci sono i caratteri con i quali è scritto il nome Renanera che vogliono significare l’appartenenza al Mediterraneo: ricordano le antiche iscrizioni greche ma anche le forme della prima scrittura libica. Tutto questo, partendo da Lagonegro, in Basilicata. Ma, con quattro album (‘O Rangio, il live Renanera in concertoRenanera, l’album omonimo e Troppo Sud) e oltre duecento concerti – in piazze, eventi e teatri, negli ultimi anni – hanno raggiunto ogni angolo d’Italia, con grandi soddisfazioni.

Basta dare uno sguardo al loro percorso artistico, per rendersene conto. Intanto le collaborazioni: importanti quelle con Eugenio Bennato, che ha prodotto anche un loro disco e scritto canzoni insieme ai Renanera,  e con Vittorio De Scalzi, ideatore, fondatore e anima dei New Trolls, che con i Renanera sta portando avanti, da alcuni anni, un progetto che è passato attraverso alcuni live e che presto diventerà anche un disco.

Deodati e la sua band sono stati ospiti di importanti manifestazioni dedicate alla musica etnica: al Negro Festival dove hanno suonato con Graziano Accinni (Mango, Ethnos) in apertura di Daniele Sepe, al Festival della Tarantella Lucana di Guardia Perticara , al festival “Tra Taranta e Tarantella” di Genzano, al Lucania Etno Folk Festival diretto artisticamente da Eugenio Bennato, al Festival Sentieri Mediterranei a Summonte in Campania (direzione artistica Enzo Avitabile), al “Cantami o Diva” ad Ascoli Satriano, uno spettacolo di e con Michele Placido, al Primo Maggio in Grancia come band centrale dell’evento, al Meeting del Mare a Marina di Camerota nell’edizione che aveva come protagonista Franco Battiato e quella dell’anno successivo con Enzo Avitabile, a La Luna e i Calanchi, festival diretto da Franco Arminio che ha anche curato la prefazione dell’album “Renanera”, al concerto per le celebrazioni sull’arrivo di Carlo Levi ad Aliano e ancora con Michele Placido.

Ora, mentre si dividono tra la conclusione del progetto con Vittorio De Scalzi e la ricerca di nuove storie per il prossimo disco di inediti, sono in lizza nel concorso che porterà tre gruppi, delle nuove generazioni, sul palco del Concertone del Primo Maggio a Roma.  Il contest si chiama1MNext: per il 30 per cento il voto poggia sul popolo dei social network. Si può votare – con un “like” dalla pagina Facebook del contest – per spingere i Renanera a salire su quel palco (il resto del giudizio arriverà da una giuria di esperti di musica). “Un gruppo sarà vincitore, ma per tre dei partecipanti c’è la possibilità di suonare sul palco del Concertone. È un’occasione per avere più visibilità e aprirsi nuovi orizzonti”, dice Antonio Deodati.

Per voi, però, le grandi platee televisive non sono una novità.

Abbiamo partecipato alla trasmissione di Raiuno “L’anno che verrà 2017” (Capodanno in diretta televisiva da Potenza). Il regista Nevio Casadio ci ha ospitati in una puntata di Speciale TG1 dedicata alla Basilicata, la rubrica di approfondimento della testata giornalistica della Rai. Nel Maggio dello scorso anno, ci siamo esibiti con Vittorio De Scalzi dell’evento “Senza orario, senza bandiera, Vittorio De Scalzi – 50 anni di carriera”, al Teatro San Carlo di Napoli, messo in onda su Rai 5 e Rai Premium. Uno spettacolo presentato da Fabrizio Frizzi con Gino Paoli, Drupi, Patty Pravo, Katia Ricciarelli, Peppe Barra, Sal Da Vinci, Neri per Caso, Aldo Tagliapietra, Lino Vairetti, Clive Bunker dei Jethro Tull, Armando Corsi, Zibba. Abbiamo eseguito “Crêuza de mä” di Fabrizio De Andrè con un nostro arrangiamento world, in coppia con De Scalzi e i Neri per caso. E con Vittorio stiamo chiudendo un nostro disco che unisce il lucano al genovese.

Che legami ci sono tra i due popoli?

I genovesi hanno molti legami con la Lucania: Tursi è stata fondata dai Doria, che sono tutt’ora molto presenti a Genova (le due città sono gemellate). Il Palazzo Tursi è la sede del Comune di Genova, anche la madonna di Anglona si festeggia sia in Lucania che a Genova, grazie a una comunità lucana molto presente. E poi parliamo dei pirati, i Saraceni che hanno messo a ferro e fuoco la Basilicata più volte: l’osmosi tra le due culture c’è.

Ci sono legami anche tra le due lingue?

Il genovese è lingua molto particolare, molto vicina alla lingua corsa. Ha avviato l’epopea della musica world in Italia. Crêuza de mä di Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani è l’inizio di questo. Era stata riproposta in napoletano da Teresa De Sio. Abbiamo ripreso e miscelato le due versioni. Nel disco ci saranno anche alcune cose di De Scalzi notissime, come Una minieraFaccia di cane, Quella Carezza della sera,  arrangiate in chiave world e poi ci sarà il racconto della Basilicata. C’è una versione di Hatt Mammon in lucano e genovese. È  un disco che stiamo chiudendo, ci lavoriamo da tre anni. Con Vittorio abbiamo fatto anche dei live in Basilicata che sono piaciuti molto.

Come definisce la musica che proponete?

Su questo discutiamo molto e spesso con mia moglie, Unaderosa che è molto attenta al tema. Il nuovo filone al quale stiamo cercando di puntare è la world music, ma quel che facciamo è ancora etnico per le sonorità e pop per le melodie e l’elettronica. Ci concentriamo sul luogo di provenienza, in questo caso la Lucania: c’è l’uso di ciaramelle che suonano come fossero sassofoni o zampogne che come tastiere fanno da tappeto. La world mette insieme più lingue e questo è un passaggio che faremo con i prossimi progetti. È  più un’aspirazione che una realtà al momento.

Cosa c’è di territoriale nella vostra musica?

Ci sono le storie o i canti popolari antichi come Cup cup, Frunnidalia. Ogni paese ha canti dedicati a riti antichi e popolari: canti pasquali, o dedicati all’uccisione del maiale. Noi abbiamo messi insieme quelli di Lagonegro, il nostro paese, con la lingua materana: lo abbiamo fatto sia nel primo album, Troppo Sud che in Renanera, che ha avuto la direzione artistica di Eugenio Bennato. Abbiamo raccontato il brigantaggio, con Brigante se more, fatta proprio insieme a Bennato e a  Michele Placido che recitava una poesia di Rocco Scotellaro, con la quale sottolineava il patriottismo dei briganti. E poi con un altro brano, Na Brigante, che racconta di una donna che si fa brigantessa perché il padre è stato imprigionato e lei lo allatta attraverso le sbarre. Nell’ultimo album, O’ rangio,   le sonorità sono più nuove, le tematiche più libere: parliamo di bullismo e nel brano che ha vinto il premio della critica Mia Martini,  Mal di lucania,  raccontiamo lo stato d’animo che viviamo quando si vuoi ritornare nella propria terra, quando la riscopriamo da lontano. Avevamo bisogno di raccontare anche storie più moderne con il linguaggio popolare, un legame tra nuovo e antico.

Quali riconoscimenti avete ottenuto?

Abbiamo vinto la quinta edizione di Musica Contro le Mafie contest patrocinato da Libera, associazione di Don Luigi Ciotti; siamo stati semifinalisti nel prestigioso Premio Musicultura, (l’ex premio Recanati); abbiamo partecipato alla quattordicesima del Premio De Andrè. Siamo stati candidati alle Targhe Tenco 2016 per la sezione Album in Dialetto con l’album “Renanera”. Nell’agosto 2017 la redazione del giornale lucano “Il Sirino” ci ha assegnati il 20° premio Sirino d’argento.   Un riconoscimento al lavoro che stiamo facendo sul racconto del territorio. Raccontiamo storie della Basilicata, lo faremo  nel prossimo album, racconti sulle maciare, la magia bianca di Salandra o dedicato al Ponte alla Luna di Sasso di Castalda. Racconteremo le storie meno conosciute, della Madonna Nera di Viggiano o di Ronca Battista e dei suoi combattimenti a Melfi contro i francesi.  Come dicevamo poc’anzi, nell’ottobre 2017 ci è stato attribuito il Premio della Critica per la sezione Etno Song del Premio Mia Martini con il brano «Je mo’ m’accir’». E poi ci hanno dato la cittadinanza onoraria ad Asti, dopo una serie di concerti fatti in Piemonte. Lì registrammo un live che poi è diventato un album. E il sindaco ci tributò questa cosa.

Prossimi impegni?

Tra poco uscirà un videoclip con De Scalzi: noi siamo dei marziani, arriviamo con un’astronave, e vediamo un posto dove c’è musica. È  Lagonegro. Troviamo De Scalzi sul cucuzzolo del Castello di Lagonegro. Suona il flauto, ci ipnotizza e ci teletrasportiamo con lui a suonare. E poi stiamo permettere in piedi il nuovo tour, stiamo strutturando un calendario. D’inverno ci impegniamo a strutturare anche la band, stiamo cambiando alcuni elementi. Ho scoperto un ragazzo di Castelluccio Inferiore , Massimo Catalano,  che è un fenomeno con le corde. L’inverno è per la ricerca di contesti futuri, dei contatti per andare a proporre la nostra musica anche fuori dalla Basilicata.

E poi c’è questo contest che vi può portare sul palco del Concertone del Primo Maggio a Roma…

Si può votare fino al 31 di marzo: vale per il 30 per cento. Si va sulla pagina di 1mNextattraverso Facebook (qui il link per votare i Renanera: http://www.1mnext.it/index.php/gli-artisti/renanera). Il resto lo farà una giuria di esperti. E poi saremo a Spilimbergo, nella finale del festival Spilimbergo Folkfestival il 5 di luglio.

 

Unaderosa è la voce, inconfondibile, del gruppo. Ma è soprattutto l’autrice delle proposte inedite dei Renanera.

Quando è iniziata questa avventura nel mondo della musica?

Ho iniziato a cantare in età adolescenziale, forse anche tardi rispetto a tanti altri. A quattordici anni, come è accaduto a tanti adolescenti negli anni Novanta,  cantavo in cameretta. Poi, circa otto anni fa ho incontrato Antonio, che è un produttore. Lui aveva già chiaro in mente tante situazioni discografiche, mi ha introdotto in questo ambiente, mi ha fatto capire come ci si muove, mi ha insegnato come si può affrontare tutto questo come un lavoro.

Oltre alla voce, inconfondibile, lei è autrice delle cose inedite che fate: come nasce la voglia di raccontare la tradizione “rivisitata”?

È stato molto istintivo. Qualche anno prima di conoscere Antonio mi ero avvicinata al mondo dub scrivendo 10 brani che in seguito ho trovato molto simili alla musica popolare per quanto riguarda i contenuti, che spesso esprimono un desiderio  di rivalsa dei propri diritti e di riscatto. Attraverso le tradizioni ci ritroviamo a conoscere le problematiche sociali di un tempo ibernato, che pare non riesca ad evolversi , ed è per questo che “l’urlo della disperazione” diventa il comune denominatore tra la musica tradizionale e quella Etnica.

A proposito di etichette: Antonio dice che discutete molto sul significato della vostra musica.

Per comodità il discografico ha l’esigenza di collocare la musica. Io scrivo, compongo le melodie. Avvengono in modo istintivo, almeno nella prima fase. E a me sembra strano dargli una connotazione fin dall’inizio. Alla fine, certo, dopo averlo realizzato, lo collochi in base ad alcuni ingredienti, agli elementi contenuti nel brano. Per Antonio questo si può fare a priori. La discussione è su questo. Ed è da questa discussione che nascono i Renanera. I nostri gusti a volte sono così distanti che, alla fine, la sintesi è ciò che fanno i Renanera. E credo che questo in una coppia, tra marito e moglie, sia eccezionale…

Condividere famiglia, passioni, lavoro. Sarà anche impegnativo…

Un impegno esagerato e continuo. Non si chiude mai la serranda… e si va a casa. Si discute molto. E questo dipende dai periodi, dagli stimoli, dalle persone che ti circondano. Ad esempio, in questo periodo, con Vittorio De Scalzi siamo contenti di collaborare perché nascono stimoli continuamente.

Qual è il suo ruolo nel progetto che state portando avanti con De Scalzi?

La maggior parte delle tracce inedite le ho iniziate io con Antonio, abbiamo raccontato di Andrea Doria, del connubio tra Genova e la Basilicata, del gemellaggio che c’è soprattutto con Tursi. Attraverso i testi abbiamo raccontato questi fatti storici. Ma ho scritto anche cose più attuali: di immigrazione ad esempio. Testi contemporanei, problematiche di oggi ma che si legano con il passato. Vittorio ha inserito le sue parti strumentali, melodiche e testuali alla grande.

E poi ci sono le sue canzoni storiche, quelle dei New Trolls.

Sì, sono riproposte con un arrangiamento curato da Antonio. Io ho fatto da corista. Ed è curioso: la mia voce è riconoscibile, come corista è una bella sfida….  a alla fine è un featuring: una bella esperienza. Anche una responsabilità sostituire voci storiche come Nico De Palo.

 

 

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