Quella mattina Isabella e Maria Giuseppa Tortorelli vanno insieme in fabbrica. Come tutte le mattine. Abitano a pochi metri di distanza, entrambe sulla Thompson Street. Isabella al 116, la sorella Maria Giuseppa, da quando ha sposato Egidio Lauletti, ha trovato alloggio al 133 della stessa strada. La fabbrica, dove le due donne lavorano è a pochi isolati di distanza, in Washington Place. Fanno le sarte, cuciono camicie.
Isabella è ancora una ragazzina. Ha 17 anni. A New York era arrivata una decina di anni prima. Era partita da Armento, in Lucania. Aveva affrontato un lungo viaggio, quasi un mese in nave. E poi tutte quelle ispezioni a Ellis Island, prima di avere il via libera ed entrare in città, a New York. Era una bambina. Era arrivata insieme con mamma Giulia e papà Giacomo. E con i fratelli Victoria, Nicola e Biagio.
Maria Giuseppa è più grande. Ha 33 anni. E’ nata il 19 marzo, il giorno di San Giuseppe, di cui porta il nome. Si è sposata, ha avuto cinque figli. E la disgrazia di perdere il marito in giovane età. E’ vedova, per questo lavora.
Siamo nel 1911. Quel 25 marzo è un sabato. Un assolato sabato di inizio primavera. La camiceria dove lavorano, le due donne, è la Triangle Factory: occupa gli ultimi tre piani di un palazzone di Washington place. Dentro, ognuno ha uno stanzone dove sono occupate circa cinquecento persone. Non hanno rappresentanza sindacale, non hanno tutele, né criteri di sicurezza. Molte delle porte dei locali dislocati sui tre piani, rimangono chiuse, per evitare che le lavoratrici abbandonino il posto di lavoro.
Manca poco più di un quarto d’ora alla fine della giornata. Sono le 16,40 quando all’ottavo piano si sviluppa un incendio che ben presto si propaga al nono e al decimo. Le donne, in cerca di salvezza, si devono arrendere. Cercano una via di fuga ma trovano le porte serrate. Qualcuna scende dalle scale antincendio, quelle esterne, di ferro. Ma crollano sotto il peso delle tante donne in fuga.
Racconta Sergio Rizzo in un articolo pubblicato qualche anno fa sul Corriere della Sera, rifacendosi alle cronache della stampa americana:“La folla da sotto urlava: “Non saltare!”», scrisse il New York Times. «Ma le alternative erano solo: saltare o morire bruciati. E hanno cominciato a cadere i corpi». Tanti che «i pompieri non potevano avvicinarsi con i mezzi perché nella strada c’erano mucchi di cadaveri». «Qualcuno pensò di tendere delle reti per raccogliere i corpi che cadevano dall’alto», scrisse il Daily, «ma queste furono subito strappate dalla violenza di questa macabra grandinata. In pochi istanti sul pavimento caddero in piramide orrenda cadaveri di trenta o quaranta impiegate alla confezione delle camicie». «A una finestra del nono piano vedemmo apparire un uomo e una donna. Ella baciò l’uomo che poi la lanciò nel vuoto e la seguì immediatamente». «Due bambine, due sorelle, precipitarono prese per la mano; vennero separate durante il volo ma raggiunsero il pavimento nello stesso istante, entrambe morte».
Anche Isabella si getta dal nono piano. Non vuole morire carbonizzata. La sua vita si spegne, di colpo, nell’impatto col marciapiede. La riconoscerà il fratello il giorno dopo quella tragedia.
Non è così per Maria Giuseppa: il suo corpo, distrutto dalle fiamme, non verrà identificato fino a pochi anni fa, quando uno studioso, Michael Hirsh analizza i resti nelle tombe dove le salme senza nome erano state sepolte. E da frammenti di oggetti, un bottone su una gonna, l’etichetta di un maglione e altre piccole cose, riesce, anche grazie a moderne conoscenze, a dare un nome a molte delle donne che non l’avevano ancora. Accade nel 2014: così Maria Giuseppa Tortorelli Lauletti viene riconosciuta. Viene trovata.
La storia delle due sorelle di Armento e delle altre italiane morte in quell’orribile incendio,è raccontata da Ester Rizzo, scrittrice siciliana, una laurea in giurisprudenza e un diploma alla scuola superiore di giornalismo, in un lilbro “Camicette bianche, oltre l’8 marzo” (Navarra Editore), oggi diventato anche una rappresentazione teatrale. Una ricerca, la sua – tutt’ora in corso – che ha lanciato anche una lodevole iniziativa per ricordare la tragedia di New York, da qualche anno diventata anche un simbolo per la Festa della Donna.
“Sono 146 le persone morte in quell’incendio _ racconta Ester Rizzo _ le donne erano 123, 38 di origine italiana. Due le lucane, ma ce ne sono anche siciliane e pugliesi”.
Com’è nata l’idea della ricerca?
“Ho cominciato con le siciliane, la mia regione di origine, poi ho approfondito anche le altre storie. Tutto è iniziato quando grazie a Hirsh alcune donne che erano senza una identità, sono state identificate. Ho approfondito la ricerca, ho studiato tutti gli atti del processo, ho contattato le amministrazioni comunali dei paesi di provenienza di quelle vittime”.
I due proprietari della Triangle Factory, Max Blanc e Isaac Harris sono stati giudicati non responsabili di quanto accaduto.
“Dopo la tragedia erano stati accusati di omicidio colposo, ma durante il dibattimento, al quale hanno partecipato come testimoni un centinaio di persone, non è emerso che le porte fossero davvero chiuse. Si è data la colpa al panico delle lavoratrici che non ha permesso loro di uscire dagli stanzoni dove lavoravano. Ritengo che la verità stia nel mezzo. Le porte erano chiuse. Probabilmente non tutte, ce n’erano di aperte. Ed effettivamente le donne si sono fatte prendere dal panico, perdendo la lucidità necessaria”.
Però quell’incendio ha fatto nascere, subito dopo, movimenti che hanno chiesto e ottenuto maggiori garanzie di sicurezza nei luoghi di lavoro.
“E’ così, la gente si è mobilitata: quella del 25 marzo 1911 per decenni è stata considerata la più grande tragedia americana avvenuta in un luogo di lavoro”.
Anche la sua ricerca sulle Italiane ha prodotto qualcosa di positivo.
“Insieme all’editore del mio libro, abbiamo lanciato un appello rivolto a tutte le amministrazioni comunali italiane che hanno dato i natali alle donne vittime di quell’incendio, per intitolare una strada o una piazza e tenere viva la memoria di quelle donne morte sul lavoro”.
E com’è andata?
“Tutti i sindaci hanno risposto positivamente. Armento ad esempio ha dedicato alle sorelle Tortorelli un bellissimo largo del paese. Così hanno fatto gli altri Comuni. Manca all’appello Bitonto, in Puglia: il sindaco ci ha informati che lo farà a breve”.
Questo articolo non è abbastanza preciso. Mia bisnonna Maria Giuseppa Tortorelli era sposata con Edigio Lauletta, originario di Anzi. È stata bruciata oltre ogni riconoscimento e nel 2010, Michael Hirsch, uno storico che cercava l’ignoto 6 morti dal fuoco, mi ha contattato tramite Facebook. Mi ha chiesto se avevo un parente morto nel Triangle Shirtwaist Factory Fire. Ho risposto sì, che avevo due parenti. Non c’è stata riesumazione dell’ultimo luogo di riposo dei 6 non identificati. La parte su come identificare le parti di abbigliamento o scarpe, è probabilmente come Maria Giuseppa e il fratello di Isabella, Nicola, sono stati in grado di identificare Isabella.
Per favore, dopo tutti questi anni, dobbiamo correggere la storia. Sono qui per rispondere alle domande.