Ha girato in lungo e largo l’Italia alla scoperta di curiosità, aneddoti, storie misteriose e luoghi sconosciuti. Poi li ha raccontati in un libro, “Forse non tutti sanno che in Italia…” (Newton Compton). Isa Grassano al giornalismo di viaggio è arrivata quasi per caso. Nasce cronista, fa inchieste, denuncia sprechi e disservizi. Ma per raccontare la sua terra, la Basilicata, va a bussare con successo alle porte di direttori di riviste specializzate e di editori.
Originaria di Matera, la sua terra la ama e sa raccontarla come a pochi riesce. Quando deve descrivere il “Volo dell’Angelo” di Castelmezzano, lo “dipinge” come “un filo che lega alla realtà il sogno più antico dell’uomo di volare”. E quella frase diventa il biglietto da visita per promuovere un progetto che ben presto è conosciuto in tutto il mondo e attrae migliaia di turisti.
Viaggiare le piace. Ancor più perdersi. “Mi piace conoscere gente, scoprire luoghi. Nel mio tragitto però tendo a perdermi perché non ho senso di orientamento e, perdendomi, scopro tante cose che altrimenti non vedrei perché non sono nell’itinerario”.
Il senso del suo libro, una guida all’Italia che abbiamo sotto gli occhi ma che spesso non conosciamo, è proprio questo. Lo dice lei stessa nella sua prefazione, citando un precedente illustre: Perdetevi, per trovare cose più belle. Anche Cristoforo Colombo s’era perso, approdando in America. “E’ una frase che ho letto sulla statua della Libertà”, dice.
Isa Grassano vive tra Bologna e Milano. L’Emilia è una scelta sentimentale: qui ha mosso i primi passi nell’editoria di viaggio; l’altra è scelta di lavoro (“A Milano ci sono le redazioni dei giornali con i quali collaboro: vado spesso a proporre i miei progetti. L’ho battezzata la mia “via crucis””).
Giornalista free lance, Isa collabora con le più importanti riviste di turismo e di enogastronomia italiane (Viaggi di Repubblica, Marco Polo); collabora con riviste femminili (Elle, Donna Moderna, Io Donna) e di cronaca rosa e gossip (Nuovo, Sono) e cura la comunicazione per associazioni ed enti pubblici e privati.
Con la editrice Newton Compton, oltre alla guida all’Italia insolita, ha pubblicato, “101 cose divertenti, insolite e curiose da fare gratis in Italia almeno una volta nella vita”, una bella guida per affrontare, in modo indolore, la crisi economica che ci attanaglia da un bel po’ di anni e, “In viaggio con le amiche” e “Colazioni da Tiffany”.
Ha mosso i primi passi da giornalista nella sua terra, poi però ha trovato la sua strada in Emilia Romagna.
Che rapporto ha con la Basilicata?
Di odio e amore, come tutti quelli che se ne sono andati. E’ una delle regioni più belle del nostro Paese, ne parlo sempre e con tutti. E’ stata anche la mia fortuna per entrare nei giornali di turismo. Ho iniziato a collaborare dopo un’esperienza di giornalismo in un quotidiano a Ferrara, mi occupavo di cronaca nera. Nessuno conosceva la Basilicata e per me poter scrivere di Matera, di Dolomiti lucane, di Maratea è stata la chiave di volta per entrare in tutte le redazione. Poi quando Matera è diventata Capitale della Cultura lo è stata ancora di più. Della Basilicata parlo sempre, ne scrivo sempre, manderei tutti in Basilicata a fare le vacanze.
Però…
Ho anche un rapporto di odio perché ci sono tanti aspetti della terra che non mi piacciono, come l’assistenzialismo a cui siamo stati abituati e che spesso continuiamo a mantenere. O le tante forme di lamentela senza che cerchiamo di fare qualcosa per risolvere i problemi. Succede anche tra colleghi giornalisti, sa?. Una volta ho fatto un corso di formazione professionale per la formazione obbligatoria di noi giornalisti. Facevo la docente a Senise, la terra dei peperoni cruschi. Con noi c’era un imprenditore che avrebbe aperto da lì a pochi mesi, un grande attrattore sulla diga del paese, per uno spettacolo sulla Magna Grecia. L’ho lanciata lì: “adesso avrà bisogno di un ufficio stampa, fatevi avanti” dissi alla platea di colleghi. Nessuno gli ha inviato un progetto per la gestione dell’ufficio stampa e per la comunicazione. Non sopporto neppure il chiacchiericcio che c’è nella nostra terra. Sono per il “vivi e lascia vivere”. Nel lavoro, il più delle volte, non si va avanti per merito ma per raccomandazioni. Al nord, se hai un progetto valido lo prendono in considerazione anche se non conosci nessunl. Aspetti, questi, che conosce solo chi ci vive.
Come nasce giornalista?
Collaboravo da San Mauro Forte per La Gazzetta del Mezzogiorno. L’Ordine dei giornalisti diede la possibilitá di fare uno stage da svolgere in un quotidiano: sono andata a La Nuova Ferrara, ho fatto molta cronaca nera. Finita questa “borsa di studio” il direttore mi chiese di restare, ma mi avrebbe pagato a pezzi. Li avrei dovuti proporre io e, non essendo del posto, mi sembrava un po’ macchinoso. Un giorno, ero andata a Bologna per fare un servizio proprio per la Nuova Ferrara, chiacchierando con una persona che aveva una piccola rivista di turismo che si chiamava Voyager, mi disse che cercava una persona che facesse un po’ di tutto: avrebbe dovuto scrivere, redazionare i pezzi degli altri, curare la stesura del giornale. Accettai, ho iniziato così. Poi facendo la sfacciata ho iniziato a propormi con le redazioni per raccontare la Basilicata. Occuparmi di viaggio è bello, ma il mio sogno è quello di tornare a fare cronaca. Quand’ero a San Mauro Forte, feci un’inchiesta sul carcere del posto che aveva 4 guardie per un detenuto e da dieci anni non riceveva un solo nuovo detenuto. Pagavano quattro stipendi senza che il carcere funzionasse. La mia piccola inchiesta è servita per far chiudere quella struttura. Se ne parló anche a livello regionale. Ho guadagnato ottomila lire e le “lamentele” delle persone del paese ai quali il mio scoop non andava giù…
Veniamo al suo ultimo libro, frutto proprio dei suoi viaggi. Quale curiosità l’ha colpita di più, tra quelle che propone?
Ce n’è più di uno. Una sola non riuscirei a sottolinearla. Il libro ha 150 capitoli. Credo che di interessanti ci sia Il Giocondo, un dipinto che si trova al Museo Mandralisca, un museo molto piccolino a Cefalù, in Sicilia. Il quadro – in realtà il titolo dell’opera è L’uomo ignoto – è un dipinto di Antonello da Messina, ricorda il sorriso enigmatico della Gioconda. Mi è servito per fare il parallelo tra questi due capolavori, uno molto frequentato, l’altro poco conosciuto. Ma anche la vigna di Leonardo da Vinci a Milano. E’ bella, dicono che siano gli stessi innesti di Leonardo, che veniva da una famiglia di vignaioli. O, ancora, tutti gli obelischi a Roma. Ne vediamo tanti, ma non sappiamo che ha il più alto numero di obelischi al mondo, ce ne sono ben 22.
E in Basilicata cosa suggerisce?
La più curiosa è la storia che riguarda la Cattedrale di Acerenza: si dice che al suo interno potrebbe esserci conservato il Sacro Graal. Ma anche le scale mobili di Potenza, che sono da primato. E le comunità Arbereshe di San Costantino Albanese.
Racconta anche la rabatana di Tursi abitata dai Saraceni che con le comunità albanesi di San Costantino e di altri comuni lucani sono esempi di convivenza civile tra popoli diversi.
Casi che potrebbero essere presi a esempio per i nostri tempi, esempi di convivenza civile tra persone che hanno altri linguaggi, altri riti religiosi. A San Costantino si ha la sensazione di essere all’estero. Le signore anziane spesso indossano costumi tipici, la chiesa è ortodossa, i riti religiosi tradizionali, molti parlano un dialetto che non si capisce. Esempi di convivenza.
Per i suoi racconti di viaggio ha ricevuto molti premi
Si, e mi fanno molto piacere: il premio Benedetta D’Intino della Mondadori per un articolo d’attualità; il premio Giornalista del mediterraneo, più volte il premio Agritour, il premio Alessandra Bisceglia che viene assegnato in Basilicata e poi il premio Heraclea. Mi è stato assegnato due anni fa, a Policoro, con una bellissima motivazione: “Giornalista free lance, scrittrice, esperta di turismo, esploratrice dell’Italia nascosta, si distingue per fantasia e creatività espressiva mantenendo sempre un forte legame con la sua terra d’origine”. Ne sono orgogliosa perché mi è stato assegnato nella nostra terra.
C’è una visione lucana nel tuo modo di viaggiare?
Da lucana e da persona che ci mette il cuore in tutte le cose, cerco, nei posti in cui vado proprio il cuore: e inevitabilmente finisco per dire “Ma noi in Basilicata siamo diversi”. L’ospitalità, l’accoglienza, l’apertura verso le persone, per me sono elementi imprescindibili che sento miei perché li abbiamo nella nostra terra. Li cerco nei posti dove vado. Sono elementi che mi fanno sentire l’emozione. Se c’è riesco a scrivere meglio, riesco a trasferire questa emozione anche a chi legge i miei articoli. Di recente sono stata in Moldavia:è un posto dove subito ti invitano a pranzo, ti offrono da bere. Quando ho iniziato a scrivere l’accostamento con la nostra Basilicata è stato immediato.