“Le dispiace se mentre parlo con lei bevo il mate? Lo faccio ogni mattina. Sa cos’è? Una bevanda come il the. Si fa con la Yerba Mate”. Miguel Angel Zotto i legami con la sua Argentina li tiene stretti, anche se ha scelto di vivere in Italia, dove insegna tango, nelle sue accademie a Milano, Venezia, Verona e Lugano.

A dire il vero le sue origini sono italiane. Lucane, per la precisione. Ma l’ha scoperto solo da poco. “Da sei o sette anni”, dice il “Maradona” del tango, uno dei tre più importanti ballerini nella storia dell’Argentina.

Tutta colpa di una vocale, scambiata nel suo cognome. “Parlando in dialetto, i miei antenati, non pronunciavano l’ultima vocale. Così, quando i miei bisnonni arrivarono alla dogana in Argentina per essere registrati, quel cognome, pronunciato “Zott” fu trascritto in Zotto, mentre in origine, il cognome della famiglia era Zotta. Scritto così, quando ho cominciato a cercare le radici italiane dei miei antenati, ho pensato di avere origini piemontesi, ma sapevo che eravamo del sud e non ho mai smesso di cercare. Fino a che a una mia cugina, che viveva a Monza, fu data la cittadinanza italiana con il cognome giusto, Zotta. Da lì ho cominciato a fare nuove ricerche e ho scoperto che la mia famiglia arrivava da Campomaggiore, un comune in provincia di Potenza. Gli amministratori del paese  mi hanno dato il certificato di nascita del mio bisnonno a riprova di tutto questo”.

Le sue origini e le tradizioni di famiglia  lo segnano anche nel nome che si porta addosso. “Miguel Angel, come mio padre. Si usa così. Mio nonno si chiamava Miguel, Michele. Suo padre, il mio bisnonno era un capo brigante, si sposò con Angela, mia bisnonna. Chiamò il figlio Michele e mio papà Michelangelo. Come me”.

Quanto contano le sue origini lucane?

Tanto. La mia famiglia era andata in Argentina per motivi economici. S’era allontanata tanto. Mio nonno ad esempio, non è più tornato in Italia. Io, girando il mondo mi sono sempre chiesto perché sentivo questo forte legame con l’Italia: ogni volta che arrivavo qui sentivo la voglia di starci. E alla fine ho scelto di vivere in Italia. Quando ha scoperto la passione per il tango?

Sono nato con quella passione. Mio nonno ballava il tango, quando arrivò in Argentina nel 1889 con i suoi genitori, lui era un bambino. In quel momento stava nascendo quel tipo di musica, quel ballo. Lui è nato con questa musica. Avevamo una casa grande, lo vedevo ballare, sono nato ascoltando tango, già nella pancia della mamma. Quella casa era tango, ma anche rock and roll, erano gli anni Sessanta. Avevo sette zii, tutti maschi, la casa era molto frequentata da tanta gente, giovani che suonavano e ballavano. Era sempre festa.

Quando è diventato il suo mestiere?

Avevo una ventina di anni. Ballavo già da piccolo, ma solo per passione. A 17 anni andai al Marabù, era un posto tradizionale dove si ballava tango. Ero con un amico, lì scoprii il ballo. Per tre o quattro anni ho cercato di imparare. Mi insegnava mio papà, mia mamma ballava la Milonga liscia. Quando andavo al Marabù a Buenos Aires, era il periodo della seconda presidenza di Peron, dal 1973 al 1975: tutto era affascinante. C’era gente elegante, l’orchestra suonava dal vivo. Mi colpì tanto. Ho subito detto: questa è la mia passione. Ballavo anche la Comparsa, il rock and roll prima di ballare il tango, perché erano ritmi più vicini alla mia età. Tra me e mio zio più piccolo c’era poca differenza d’età: eravamo soprattutto amici. Lui mi portava a ballare. A sette otto anni già andavo a ballare. A undici, però, ho cominciato a lavorare con mio nonno e mio papà, lavoravano nell’edilizia, costruivano case. Sono sempre stato con gente più grande di me.

Ha ottenuto i massimi riconoscimenti ai quali può ambire un ballerino di tango: quale le sta più a cuore?

Il “María Ruanova Award”: è il premio più importante per la danza argentina, assegnato annualmente dal “Consejo Argentino de la Danza”. Viene assegnato al teatro Colon che è il tempio della danza classica, come la Scala in Italia. Per noi è il massimo colosseo dell’arte. Mi è stato consegnato nel 1991, era la prima volta che veniva dato a un ballerino popolare. Un riconoscimento molto importante non per la mia carriera ma soprattutto per la promozione del tango. Quella sera arrivarono al Colon milongheri che non erano mai stati ospitati prima in quel teatro. Ero giovane. Avevo formato una compagnia che ebbe un successo enorme, creammo una forma di ballo che non esisteva prima, mescolando la danza classica tradizionale con la danza popolare: era “Tango per due”. E per questo ebbi quel riconoscimento.

Ora sta girando l’Italia con uno spettacolo.

Più di uno a dire il vero. Sto preparando “Hystoriaa di Astor”, che racconta la vita di Astor Piazzolla. Ho scritto il testo e curato la coreografia. Racconto la vita del musicista italo-argentino. E’ il mio primo spettacolo con un testo argomentativo. Lo facciamo in Italiano. Sei coppie di ballerini, due cantanti, una argentina e una italiano e l’orchestra dal vivo. Il debutto l’11 luglio a Trani. In scena con me ci sarà Daiana Guspero, la mia compagna di ballo e di vita e poi Pablo Garcia e Romina Godoy, Facundo Piñero e Vanesa Villalba, Pablo Moyano e Roberta Beccarini, Juan Manuel Rosales e Liza Rosales. La musica sarà affidata alla grande Orchestra dei Tango Sonos. Canteranno Guillermo Fernández e Vera Dragone..E poi c’è Zotto Tango, (in scena il 6 luglio a Peccioli di Pisa nel cartellone di Undici lune, ndr) un altro spettacolo, nel quale vado in scena con mia moglie Daiana Guspero.

E’ appena uscito un suo libro: perché Te Siento

Perché racconto quel che sento io quando ballo e quando mi confronto con la gente su quel che sente. E’ una passione, la gente si innamora del tango. Il tango è molto sentito. “Sentir” è la vibrazione che si prova mentre si sta facendo qualcosa con qualcun altro. Sentire l’altro, sentire le emozioni di una danza profonda. E’ un sentimento. La gente ci si identifica perché racconto anche quel che succede alla gente mentre balla. Tanti dei miei allievi sono protagonisti, raccontano la propria esperienza.

Le fa piacere tramandare agli altri la sua passione e la sua professione?

Non solo piacere. Mi ritengo una persona che sta compiendo una funzione: uno che viene al mondo per portare a termine una missione. Troppo spesso si pensa solo ai soldi: si fa guerra per i soldi, si perdono amicizie per i soldi. Sono sempre in primo piano. Non veniamo al mondo per fare i soldi, ma per avere un ruolo. Certo, mi preoccupo di tracciare un cammino per il futuro ai miei figli, ma quant’è bello tramandare una cultura. A 18 anni ho incontrato persone che hanno fatto questo e ora mi rendo conto che questa è la mia missione. Sono uno dei tanti che promuove il tango nel mondo. Nel libro parlo di Petrolio, Cacho Lavandina: era un muratore, non ha mai ballato da professionista ma fu il più grande ballerino di tango. E poi El Cachafaz, il maestro di Rodolfo Valentino. Dobbiamo a loro tante cose che oggi portiamo in scena. Questo è ciò che perseguo, fino a che “sentirò” l’emozione. Quando non avvertirò più questo, non ballerò più.

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