La musica è una scelta che parte da lontano. Da quando ascoltava il suo papà, emigrato prima in Germania e poi in Svizzera, cantare le canzoni italiane. E poi, ad appena dieci anni, quando con i fratelli suonava alle feste di paese e ai matrimoni.

Il contenuto profondo dei suoi testi, invece, affonda le radici nel teatro. Quello civile e impegnato di un attore come Ulderico Pesce che, in qualche modo l’ha “scoperta” attrice, l’ha impiegata nelle parti musicali delle belle storie che porta in giro per l’Italia e poi le ha ispirato la strada da percorrere. Per Rosmy, nome arte di Rosamaria Tempone, di Calvello, (anche se è nata a Zurigo, dove i suoi erano emigrati e adesso vive a Milano e insegna inglese ai ragazzi), è un modo per raccontare il mondo che la circonda con le sue piaghe, i suoi vizi, le sue cattive abitudini: parla di bullismo, di violenza, parla dell’angoscia della solitudine dei rapporti umani.

Rosmy (le foto di questo articolo sono di Tiziana Orrù)

Questa estate porta in giro Inutilmente, un brano che ha scritto lei, come tutti gli altri, in collaborazione con Ciro Scognamiglio e che l’ha portata in finale al premio Lunezia, che si tiene a fine luglio ad Aulla. Ma di riconoscimenti importanti ne ha avuti anche con altri: nel 2016 con Un istante di noi ha vinto il Premio Mia Martini e il Premio Speciale “Miglior brano radiofonico”..

Come ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica?

La frequento da sempre, in casa, con i miei fratelli. Ma già prima mio padre cantava e suonava da giovane, anche in Germania e Svizzera dov’era andato per lavoro. Io ascoltavo sempre musica, sono cresciuta con i Pink Floyd, con la musica che piaceva ai miei fratelli e a mio padre. Già a dieci anni già andavo a fare spettacoli con loro. Avevamo formato un gruppo, The Music Family, ci esibivamo alle feste di paese e ai matrimoni. Poi crescendo ho conosciuto Ulderico Pesce, a Calvello partecipai da attrice a un suo spettacolo, mi affidò la parte musicale. Alla fine mi chiese di continuare: cantavo e recitavo, erano brani popolari, frutto di ricerche. Ricordo che sono andata sul Pollino con Ulderico, per sentire gli zampognari. Quello è stato un periodo divertente, ho girato i teatri di tutta Italia.

Dal teatro di Ulderico Pesce alle prime esperienze da cantautrice: il passo è stato difficile?

E’ accaduto quando sono arrivata a Milano, con amici che fanno questo di mestiere, ho cominciato a scrivere testi. Insieme scrivemmo Un istante di noi che nel 2016 vinse il premio Mia Martini. Per me è stato l’ingresso ufficiale nella musica emergente italiana.

Una costante dei testi che scrive sono i temi che tratta: riguardano problematiche sociali, sono impegnati.

Penso che questo mi venga dal teatro. Ulderico fa teatro civile, è uno dei pochi registi e attori che fa questo tipo di teatro. Con il metodo Stanislavskij che lui porta avanti mi ha insegnato a muovermi in questo mondo dov’è importante essere veri e arrivare con un linguaggio reale, realista, diretto. Mi ha anche insegnato che tutto nasce solo perché hai qualcosa da dire. Mi ha fatto capire che la forza non è arrivare a un obiettivo ma spiegarsi sempre il perché. Così scrivo, tratto temi che vivo nel quotidiano e poi mi domando e vado alla ricerca del perché quel che ho scritto è venuto fuori, vado alla ricerca del motivo per cui è accaduto ciò.

Il suo ultimo disco parla del fenomeno del “ghosting”

L’ultimo, Inutilmente l’ho scritto in un momento particolare della mia vita: anche io avevo subito alcune cose. E sentivo intorno a me che questo tema, questa sofferenza, era diventata generale. Parlo dell’amore che sparisce, della mancanza di coraggio nell’affrontare la realtà, della difficoltà di assumersi le proprie responsabilità. Un po’ di colpa l’hanno anche i social, che hanno rarefatto i contatti umani. Non c’è più la responsabilità di condividere le cose in modo positivo, di confrontarsi. Nel testo ho raccontato tutto questo, poi ho fatto una ricerca e ho capito che il fenomeno è così diffuso che c’è addirittura un termine inglese per spiegarlo. Da lì ho approfondito il testo. E nel brano dico il contrario: non voglio vivere inutilmente, ma ti faccio vedere la vera sofferenza, affinché possa capire che questo crea un disagio nell’altro.

Ha usato lo stesso percorso anche per le altre canzoni? Ho scelto di essere libera parla anche di bullismo: lancia un messaggio contro questi soprusi.

In Ho scelto di essere libera dicevo: basta, scelgo di essere libera. Un modo per dire che sono fuori dalle convenzioni, che non accetto i compromessi. Una lezione che ho messo in pratica anche con i ragazzi ai quali insegno inglese. Questa professione mi ha messo in contatto con episodi di bullismo tra ragazzini, e con la gestione delle relative reazioni. Come me la sono giocata da educatrice? Ho provato a dare fiducia ai ragazzi, per avere da loro un apporto positivo, per instaurare un rapporto alla pari.  E ho detto loro: provate a credere un po’ più in voi stessi. Io vedo nel bullo il ladro di felicità di turno. Dicevo ai ragazzi-vittima: Ti sta rubando la tua felicità perché stai male, ma tu non sei così, sei altro, devi reagire. E al bullo che avrebbe dovuto trovare la felicità altrove…. Così è nata l’idea del video sul bullismo. Lo abbiamo girato tutto in Basilicata. E’ un piccolo corto che si basa sulla mia musica. Ed  è un omaggio alla mia terra. Ha vinto un premio a Roma, è stato presentato a Maratea nelle giornate dedicate al cinema e poi al premio Heraclea del 2017. Un video che è stato visto anche in America. Molti dei bambini che abbiamo utilizzato come attori – erano 18 in tutto – mi hanno scritto dicendo che l’hanno utilizzato a scuola, per far capire il messaggio che il video dava.

Quel video racconta, per immagini, la Basilicata. Che rapporto ha con la sua terra?

A Calvello ho la mia famiglia, un legame forte, perché sono andata via che ero grande. Ho vissuto in Basilicata gli anni della mia crescita.

 

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