C’è un po’ della sua famiglia nelle storie che racconta da dietro la camera da presa. Ma c’è soprattutto la sua terra, la Lucania. Entrambe sono scelte d’amore per Adelaide Dante De Fino, regista, esperta di televisione e sceneggiatrice, che con il suo ultimo lavoro, il cortometraggio “La pace dannata” sta raccogliendo consensi positivi dalla critica e fa incetta di riconoscimenti nei festival e alle rassegne alle quali viene invitata. Uscito all’inizio di luglio all’Ischia film festival, l’opera di De Fino  ha già ottenuto premi per la migliore attrice (Nicole Millo) e per la sceneggiatura (Maurizio De Fino) ai Corti in Cantina di Sant’Angelo Le Fratte; rassegna dei cortometraggi lucani; l’altra attrice del film, Nadia Kibout ha ricevuto il premio come migliore attrice (Spazio Italia)al Lucana Film Festival e la pellicola è stata giudicata miglior film al festival Un mare di cinema-Eolie in video. Tutto in poche settimane. La storia, scritta dal padre della regista, racconta il dolore di due donne, Miriam ed Elena, che barricate nel loro condominio,sono unite dalla disperazione per i due figli che sono due foreign fighters. Si sono arruolati nell’Isis per combattere, lontani dalla loro casa, dalla loro famiglia. Così, le due donne, escogitano un piano per far tornare a casa i loro ragazzi.

“La pace dannata” è un film ben fatto, con una recitazione intensa, come intensa è l’atmosfera che Adelaide De Fino ha saputo creare con sapiente professionalità, trasformando dolore e disperazione in pura poesia.

Ogni giorno che passa aumentano i premi. Ne abbiamo presi quattro in tre giorni: a Corti in Cantina, a Un mare di cinema e al Lucania film festival. Quando ti rendi conto che i festival sono puliti è bello ottenere dei riconoscimenti. Oltretutto erano inaspettati.

“La pace dannata” è il suo secondo lavoro cinematografico?

Sì, il primo era Papaveri e Papere, un film completamente diverso: una storia romantica-nostalgica, ambientata a Matera. La definisco una favola moderna. Quest’ultimo è drammatico. Ho scelto di farlo perché volevo cimentarmi in un altro genere. Penso che il cinema abbia la responsabilità di raccontare la realtà che ci circonda. La storia è scritta da mio padre che l’ha anche sceneggiata. Abbiamo pensato di raccontare il dolore delle madri di quei giovani che se ne vanno da casa per andare a combattere, i foreign figthers.

Come nasce Adelaide De Fino cineasta?

Ho sempre avuto l’attrazione per il cinema e la televisione. Fin da bambina. A 13 anni ho lavorato nel film “Del perduto amore” di Michele Placido come attrice. Poi ho fatto altre esperienze, sempre davanti alla camera da presa. Per un po’ ho vissuto negli Stati Uniti, mi sono diploma là. Quando sono tornata ho deciso di seguire percorsi formativi legati a cinema e a televisione. Sono andata all’Università – ho frequentato prima scienze dello spettacolo a Roma e poi, a Milano, ho frequentato i corsi di televisione, cinema e produzione multimediale, mi sono cimentata anche in teatro come attrice. Ma a poco a poco ho capito che mi piaceva più stare dietro. Ho lavorato nello staff di produzione di Camera Caffè.

Sta già preparando un altro corto

Sì, ma prima ho un altro impegno importante: diventerò mamma tra poche settimane. Poi tornerò dietro la macchina da presa. Il soggetto è sempre di mio padre, ma la sceneggiatura è scritta insieme a Silvia Scola e Nicola Ragone. Si chiama “La giornata del professor C”. Mi rende felice questo titolo, perché ricorda “Una giornata particolare” di Ettore Scola papà di Silvia. Sarà girato a Potenza. Il film parla di un professore che va in pensione e dal giorno dopo aver smesso di insegnare tutte le parole che pronuncia le perde. Appena si rende conto di questo meccanismo sceglie quali parole non pronunciare, per mantenere con sé le cose più importanti della propria vita. Protagonista, in questo caso è la scelta, l’esigenza di ognuno di noi di rispondere: “Io cosa terrei?”. Porta a fare una piccola lista delle cose più importanti. Parla, come il mio primo cortometraggio, della mia famiglia. Mio nonno è stato professore e preside del liceo classico della città.

Perché ha scelto di esprimere le sue idee cinematografica attraverso i cortometraggi?

Il corto è un iter obbligato per chi affronta questo percorso professionale. E’ più semplice da sviluppare e gestire, per chi si avvicina a questo mestiere. E’ anche meno impegnativo economicamente. Lo confesso: se mi avessero detto “abbiamo il budget per un lungometraggio”, non avrei avuto dubbi: lo avrei fatto. Ma il corto aiuta a farci conoscere e a metterci alla prova con i vari generi di cinema, dalla commedia al fantastico. Spero di fare presto un lungometraggio.

Nella scelta dei luoghi privilegia la sua terra: perché?

In Papaveri e papere ho scelto Matera ancora prima che la città fosse candidata a capitale della cultura. La conoscevo, ho sempre immaginato il rosso del papavero in contrasto sul bianco del tufo. Una sensazione magica. “La pace dannata” l’avrei girata a Parigi, entrambe le attrici scelte sono madrelingua francesi. Ma poi ho pensato: perché no a Potenza? Ci sono molti angoli della città che potevano ricordare la banlieu parigina. Il cinema è finzione, così mi sono detta:lo facciamo qui. Il luogo del racconto è una periferia, è un posto universale. A me interessava raccontare una storia, il coraggio e il dolore delle madri, non una città, non un luogo.

Che vita avrà adesso il cortometraggio?

Lo presenteremo in alcune rassegne e alcuni festival, in giro per l’Italia e l’Europa. E poi vediamo se riusciamo ad approdare in qualche piattaforma televisiva. Quando lo abbiamo presentato al Maratea film festival abbiamo ricevuto tanti bei commenti. Tante soddisfazioni. Piccole ma importanti.

C’è una via lucana del cinema?

C’è un filone. A parte i lavori, le grandi produzioni, che sono state girate  in Basilicata da Pasolini in poi, c’è fermento. Andando in giro nei festival trovo tanti amici che fanno questo mestiere, ognuno con il proprio genere. C’è più movimento. Forse grazie alla Lucania Film commission, adesso ci sono i bandi e la gente si sente invogliata a cimentarsi. Idee e professionalità non mancano. Anzi, cresceranno sempre più.

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