C’è la Basilicata Normanna e il viaggio di Gerardo, pellegrino, crociato in Terrasanta, poi vescovo e infine santo. C’è la fede e ci sono gli amori. Ma soprattutto ci sono storie di donne, con la loro forza e la capacità di resistere a ogni evento.

La copertina del libro di Gianfranco Blasi

Il libro che sta promuovendo in queste settimane nasce da una promessa fatta a un amico. La passione per la scrittura, invece, arriva dalla sua adolescenza. Un bisogno che si era manifestato già tra i banchi di scuola. Gianfranco Blasi, funzionario alla Regione Basilicata, un passato fatto di politica (“ma ho smesso volentieri”) e una vita di passioni (“ne ho sportive, ma anche letterarie: scrivo poesie da sempre, faccio l’editor e lavoro con altri autori”), ha impiegato oltre un anno, tra ricerca e scrittura, per realizzare il suo romanzo “La croce diversa” (Editrice Universosud)

Un libro che parla di fede e d’amore. Che racconta una Potenza antica – la storia si snoda tra il 1000 e il 1100 – e il suo Gerardo della Porta, all’epoca vescovo, oggi santo patrono della città. Con una costante: era venerato da vivo, è amato adesso.

Come nasce la passione per la scrittura?

Ce l’ho da ragazzo. Ho sempre collaborato con riviste, anche da studente, facevamo fogli ciclostilati, giornali. Una passione quasi istintuale

E invece il suo ultimo lavoro, La croce diversa, che genesi ha avuto?

Nasce per due ragioni, legate a due persone alle quali sono diversamente affezionato. Una è un sacerdote che non c’è più: don Gerardo Messina. Era anche giornalista Si occupò dei fatti religiosi legati al popolo potentino, un po’ di anni fa scrisse un testo che si intitolava “Dal Po al Basento” mettendo in relazione due grandi vescovi di epoche diverse e lontane tra loro: Gerardo Della Porta, che arrivava da Piacenza nel Mille e Seicento e il vescovo, del secolo scorso monsignor Augusto Bertazzoni. Anche lui arrivava dalla pianura Padana. Dentro questa contaminazione “geografica” si poneva interrogativi su Gerardo della Porta se fosse stato davvero un crociato.

E lo è stato?

Ci sono pochi documenti, a dire il vero. Ce n’è uno, salvato dalla Chiesa, che riguarda il vescovo Manfredi, successore di Gerardo. In un’omelia delinea la biografia di Gerardo per chiederne la canonizzazione, spinto dal popolo. Don Gerardo Messina mi ha quasi strappato la promessa che io mi occupassi e scrivessi su Gerardo. Non avendo elementi storici a disposizione, ho pensato di raccontarlo sotto forma di un romanzo.

Qual era la seconda persona che l’ha spinta a trattare la questione?

Era il vecchio preside del liceo classico di Potenza, Raffaello Mecca. Facendo uno studio sulla chiesa potentina ha individuato nello stesso periodo storico di Gerardo la presenza di una comunità catara a Potenza. Mi sono lasciato affascinare da questo: i catari da una parte, dall’altra la questione su Gerardo e la sua partecipazione alla Crociata. Tutto questo avveniva in un’asse del Regno Normanno che aveva come capitale Melfi – che gli Altavilla scelsero come città di riferimento del regno di Puglia e poi del Mezzogiorno- e Piacenza. C’era anche un altro elemento: i due pre concili, antecedenti quello di Clermont per indire la prima Crociata il Papa Urbano II li tiene a Melfi e a Piacenza. Servirono a costruire l’alleanza tra i vari regni. Mi sono chiesto: com’è possibile? C’è un nesso tra la Crociata, il Papa e Gerardo? Da qui ho cominciato a tessere il romanzo: e Gerardo l’ho fatto andare alle Crociate.

Melfi, capitale del regno Normanno è a due passi da Acerenza, altro punto di riferimento per i Crociati. E per il suo romanzo.

Melfi ai tempi del concilio

Acerenza è la capitale spirituale di quel regno. Negli anni del romanzo era in costruzione l’imponente Cattedrale. Il mio Gerardo in questo suo lunghissimo viaggio tra Piacenza, Venezia, Corfù, Costantinopoli e Gerusalemme torna ferito e ammalato. I Normanni lo ospitano ad Acerenza. Guarisce grazie all’aiuto dei medici della vicina Università di Salerno. E viene inviato a Potenza per liberare la città da una banda di saraceni e malfattori comuni. Lui poi da cavaliere torna sacerdote, diventa vescovo e amministra la città.

Di Potenza il vescovo Gerardo è anche patrono.

E nel 2019 si celebrano i 900 anni dalla morte, che cade il 30 ottobre. Abbiamo un ricco calendario di eventi, promosso con il logo “Potenza 900”. Abbiamo evitato di usare 2019 per non creare confusione con Matera capitale della cultura.

Il romanzo parla di contaminazioni tra religioni e culture.

Ma è anche una storia d’amore. Nel racconto ce ne sono due. Protagonisti sono due ragazze catare, un ragazzo di Piacenza e un principe di Tolosa che ho immaginato grande amico di Gerardo. Lo scudiero di Gerardo viene fatto prigioniero. Il frutto del grande amore è un po’ manzoniano, la ragazza (quella raffigurata nella copertina, ndr) essendo stata addestrata in un convento dove si addestrano anche i cavalieri, prova ad andare a liberare il padre prigioniero. E finisce che si innamora del principe.

Quanto ha impiegato per ricostruire la storia reale che ruota intorno al suo romanzo?

Un anno di studio. Poi quando sono passato alla scrittura la penna scorreva veloce Succede quando una storia ce l’hai dentro, ti prende ed è facile scrivere. Ho passato giornate intere a consultare i testi. Il romanzo fa da cornice a fatti storici reali. Ho agito un po’ alla Ken Follet:ho messo dentro i miei personaggi che ruotano intorno a quelli storici.

Quali sono gli scrittori che la ispirano?

Sostanzialmente due. Gogol per “Anime morte”. Mi piace come lui descrive i personaggi. Lui è ironico, diverso. Ma nella struttura fisica e morale dei personaggi principali ho utilizzato queste esperienze. E poi Amos Oz, in “Giuda”: la visione dei tre monoteisti. Lascio contaminare Gerardo dai tre monoteisti e anche dalla cultura Bizantina. Lo faccio tornare più forte, giusto e legato a modelli che gli consentono di convertite i catari che incontra a Potenza. La sua dimensione cristiana somiglia a quel radicalismo cristiano di cui i catari erano portatori. Eretici combattuti da crociate interne, ma avevano una vocazione che oggi chiameremmo radicale e che anni dopo anche San Francesco ha sperimentato.

Va di moda legare i romanzi ai luoghi e: c’è un ipotetico tour potentino legato al suo romanzo?

Ho chiesto una mano a un paesologo, Rosario Avigliano che mi ha aiutato a ricostruire la città di quel periodo. Sono descritte le chiese, la torre normanna, la cattedrale, il ponte levatoio. Abbiamo immaginato un percorso sotterraneo, utilizzato dai potentini che si dovevano salvare dalle bande turche e dai malviventi locali. Grazie a Giuseppe di Tolla abbiamo realizzato una cartina della Potenza del 1119, che regaliamo con il libro.

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