“Terra da camminà” è un cammino viscerale attraverso e dentro una terra, la Basilicata; alla ricerca di storie, di volti e di suoni. E’ il titolo di uno dei brani che I Renanera, gruppo di musica etnica tra i più rappresentativi della Basilicata, ha realizzato per un docufilm che sta trasmettendo in queste settimane la Rai. Ma quel percorso è stato prima di tutto un cammino verso se stessi: un esame di maturità superato a pieni voti.
Un esame per le modalità che hanno dovuto affrontare: realizzare le loro musiche e i loro testi quasi come fossero vestiti per i contenuti delle puntate del documento Rai. “Abbiamo lavorato spesso al fotofinish – spiega Antonio Deodati, anima insieme a Unaderosa, del gruppo lucano _ Un’esperienza che ci ha arricchito molto, perché ci siamo trovati a lavorare con tempi poco artistici, ma realizzando un prodotto altamente artistico”.
Tutto in quattro mesi: otto puntate, sedici brani e sedici esibizioni dei Renanera davanti alle telecamere del regista Federico Cataldi. «Voci di una terra: Basilicata» è il titolo della serie di documentari in otto doppie puntate prodotta da Maria Teresa Valente di Rai Cultura in collaborazione con la Regione Basilicata per il canale Rai Storia (con repliche su Rai3). In onda settimanalmente dal 19 Novembre fino alla fine del 2018, il docu-fiction diretto dal regista Federico Cataldi ha fotografato la Basilicata in tutte le sue sfaccettatura per scoprire il territorio disegnato dalla geografia, ma anche quello umano, fatto di cultura, di arte, di amore per la terra e di radici antiche, dalla preistoria alla Magna Grecia, dal Medioevo al Novecento ai nostri giorni. Ogni puntata è dedicata a un aspetto particolare della Basilicata: natura, patrimonio storico e culturale, risorse, tradizioni popolari, senza dimenticare anche i momenti più dolorosi che hanno segnato questa terra. E il viaggio non può che concludersi in un luogo simbolo della Basilicata: la città dei Sassi, Matera, dove il “sopra” e il “sotto” hanno creato un paesaggio unico, entrato nel 1993 tra i siti del Patrimonio culturale Unesco. I Renanera hanno affiancato la produzione nella composizione di gran parte delle musiche, in totale 19. Oltre alla sigla di testa («Terra da cammenà»), e quella dei titoli («Tu sì tu»), la band lucana, puntata dopo puntata, ha partecipato alle ricostruzioni storiche in prima persona anche con brani composti appositamente per le scene da realizzare. Il regista per l’occasione ha ideato un nuovo modo di proporre al pubblico l’argomento storico a metà tra ricostruzione storica in costume e videoclip musicale.
“Molte di queste canzoni faranno parte di un “concept album” sulla Lucania che sarà intitolato «Terra da cammenà» – spiega Unaderosa, autrice e voce del gruppo – il quinto per i Renanera, con la prefazione di Luigi Di Gianni, noto cineasta antropologico, e le fotografie di Francesco La Centra, fotografo lucano, e Federico Cataldi, queste ultime scattate sul set della fiction. Un libro fotografico con cd allegato dunque, un nuovo modo di proporsi al pubblico che sarà pubblicato nel 2019.”
Com’è nata la vostra partecipazione al progetto della Rai?
L’incontro è stato molto casuale. Il regista cercava musicisti da utilizzare nel docufilm e ha fatto un vero e proprio casting. Quando ha sentito la nostra musica, ha ritenuto che fosse quella che stava cercando. Una musica veloce e concreta, contemporanea con forti legami con la tradizione. Così ha deciso di affidarsi ai Renanera: il viaggio che Cataldi ha compiuto in Basilicata racconta la storia ma anche l’antropologia della nostra terra.
Com’è stato partecipare al docufilm?
Piacevole. Ci siamo conosciuti tutti lo stesso giorno, era il primo delle riprese a Melfi, ma abbiamo avuto l’impressione, subito, come se ci conoscessimo da tempo. Abbiamo lavorato in simbiosi. Tra noi, la troupe, i tecnici e il regista è nata un’alchimia immediata. Eravamo come una famiglia, una grande famiglia educata.
Come si è sviluppato il lavoro?
Ogni puntata un tema, un luogo, una storia. E, per ogni puntata, ci è stato chiesto un brano. Alcune tracce facevano parte del nostro repertorio, altre erano solo in stato embrionale. E le abbiamo adattate alle esigenze scenografiche. Ma la maggior parte delle musiche e dei testi sono nati sul posto. Abbiamo dovuto realizzarle in poco tempo.
Qual è il risultato finale?
Ne è venuto fuori un lavoro che a noi piace molto: le sonorità e gli arrangiamenti sono quelli che volevamo da cinque anni a questa parte.
C’è, dichiaratamente, un vostro tributo, negli arrangiamenti, alle sonorità di Pino Mango.
Antonio ha vissuto da vicino l’esperienza con Pino Mango, le ha respirate. Questo tributo ci viene naturale, non c’è alcuna speculazione. Pino, prima di lasciarci, stava lavorando a un progetto etnico. Avremmo voluto fare anche qualcosa insieme.
Il progetto musicale realizzato per la rai si trasformerà in un disco e un libro, con testi e fotografie: perché Terra da camminà?
Quel camminare è inteso non solo come percorso oggettivo di strada ma come cammino introspettivo. Un cammino che porta al concetto di lentezza, come tempo giusto per riflettere. Cammino che è anche incontro, conoscenza della gente.
Chi ha partecipato al vostro progetto musicale?
Oltre a me e ad Antonio che siamo gli autori dei testi e della musica, hanno suonato Pierpaolo Grezzi alle percussioni e Massimo Catalano, un musicista che abbiamo scoperto pochi mesi fa che suona il saz baglama, uno strumento armeno e poi il mandolino che riesce a suonare anche con l’archetto, come se fosse una viola. Questo arricchisce le nostre sonorità. Hanno suonato con noi anche Alberto Oriolo, Pierangelo Camodeca, Roberto Palladino e per i cori Mariantonietta Rotundo e Pasquale Montano.