Nelle sue foto cerca la geometria dei paesaggi, ma ne esalta anche i suoi colori. Cerca il tempo e le storie. E soprattutto l’anima dei personaggi che sceglie. Per Domenico Possidente, lucano di nascita, piemontese d’adozione, memoria e sentimenti si uniscono nelle immagini dei suoi scatti che, nel corso degli anni, sono diventati libri e mostre. Fino a domenica 14 aprile è in corso a Chieri, la mostra su Matera capitale.
A Torino ha esposto (l’autunno scorso) le immagini sui riti tradizionali della Basilicata (Sacro e Profano e Matera Oggi a Villa Amoretti). Poi, tra la Basilicata e il Piemonte, negli anni passati, ha realizzato mostre sulla Basilicata Terra intrigante, Volti e i paesaggi di una terra intrigante, La Terra e la sua gente, Le stagioni della famiglia, La Maternità, La Paternità, e M’arrcord. Foto che sono diventate libri: Terra Intrigante nel 2003 Il solco della memoria nel 2006.
Domenico Possidente è nato ad Avigliano. A Torino è stato una ventina d’anni da giovane. Poi è tornato per altri 27 anni a Potenza, dove ha svolto il mestiere di macchinista ferroviere. “Oggi vivo di nuovo a Torino, da una decina di anni. Ho scelto di vivere qui, perché i miei due figli stanno qui e io posso prendermi cura dei miei due nipoti. Sono gemelli, sa…” dice Domenico Possidente.
E pensare che tutto è cominciato da una macchina fotografica, non funzionante, ricevuta in regalo quando non aveva ancora sedici anni…
Ho iniziato allora a fare le foto. Quella macchina fotografica era una Ferrania: me la regalarono i vicini di casa. Era una macchina che non funzionava: non trascinava la pellicola per colpa di una rondella di feltro si era consumata e non svolgeva il proprio compito. Provai ad aggiustarla: ci misi una rondella di cartone spesso e cominciò a funzionare. Pensi…ce l’ho ancora oggi. E da allora non ho smesso mai di fare fotografie. A Torino incontrai un amico che aveva la stessa passione, l’abbiamo portata avanti insieme. Il giorno in cui ho inaugurato la mostra a Chieri, lui è venuto a trovarmi. Erano anni che non ci vedevamo. E’ stata una bellissima sorpresa.
Gli scatti usati per raccontare le emozioni…
All’inizio facevo tante fotografie ogni volta che ritornavo in Basilicata. Scene di vita: ho documentato la trebbiatura, antichi mestieri come il calzolaio, il “sanapurcedd”…
Quando ha deciso di mettere in mostra le sue fotografie?
Nel 1997 facemmo una mostra dal titolo M’arrcord, in Basilicata. Una raccolta di vecchie fotografie. La organizzammo insieme a un gruppo di ragazzi del posto. Fu una bella esperienza, tanto che ci mettemmo subito a pensare a qualcosa da fare per l’estate successiva. A me, che tornavo in Piemonte, venne un’idea, la lanciai subito. “Intervistiamo degli anziani, facciamo raccontare le loro storie”. I giovani lucani si persero un po’ per strada. A me quell’idea rimase in testa, cominciai a contattare le persone, a incontrarle. Erano persone che aveva fatto mestieri in via di estinzione, come lu furgiar, il fabbro ferraio, o con un passato particolare. Una vecchietta mi ha raccontato com’erano diverse le situazioni in cui si poteva morire una volta: annegando mentre si faceva il bagno alle pecore, nel fiume; travolti dagli animali o n’trunat, cioè colpiti dai fulmini dei temporali improvvisi mentre si era in campagna. Questo poi è diventato anche il motivo del mio primo libro.
Quando ha capito che i suoi scatti potevano avere un valore culturale?
Questo lo devo agli incontri che ho fatto. Ho avuto la fortuna di conoscere Moyra Byrne, antropologa americana che a lungo è venuta in Basilicata. Un giorno mi fece contattare da William Livingston, un artista americano, era un pittore, un gallerista, ma aveva la passione per la foto e per il cinema, scriveva per il National Geographic. Voleva fare un video attraversando il tratto lucano della ferrovia da Battipaglia a Potenza. Lo aveva visto innevato, gli era piaciuto. Io mi resi disponibile, facemmo tutti gli adempimenti burocratici, per utilizzare un vecchio locomotore. Poi non se ne fece più nulla, perché a lui fu diagnosticato un male incurabile. Ma quel contatto fu la spinta, per me, ad andare avanti. Mi dissi: se questo è venuto dall’America a trovarmi, vuol dire che nelle foto che faccio qualche cosa di buono c’è…
Così è andato avanti.
Sì, grazie a una mia amica, che me lo ha chiesto, ho prodotto una mostra che riguarda i bambini. Il tema era la maternità e la paternità: tre anni di lavoro, novanta foto che oggi sono in mostra permanente all’interno dell’ospedale San Carlo di Potenza. E poi tante mostre: una decina a Torino, nella splendida cornice di villa Amoretti e nei dintorni; poi in giro: molte anche in Basilicata.
Matera è l’oggetto della mostra che fino al 14 aprile resta allestita a Chieri.
Ho fotografato la bellezza di Matera, i suoi colori, il calore del suo tufo. La sua natura stupenda. Ma questa mostra è anche una denuncia, perché ritengo che l’occasione di Matera Capitale europea della cultura 2019 rischia di far perdere alla città le sue peculiarità. Matera come una piccola Rimini: delle denunce di Carlo Levi e Ernesto De Martino cosa resta? Si è pensato soprattutto a fare promozione turistica. Invece, dovremmo tornare a rivalutare la storia, le radici. Così Matera rischia di essere asettica, una bomboniera levigata: nelle foto che ho scattato ho trovato, come tracce del passato, un carretto messo lì apposta per attirare attenzione e un vecchio aratro abbandonato in un angolo. Il resto è solo memoria.
Che Domenico Possidente cerca da anni di catturare con i suoi scatti.