Quel countdown che ha mandato, con l’Apollo 11, l’uomo sulla Luna per la prima volta, era il coronamento del sogno americano. Rocco Petrone, lucano di origini, nello stesso tempo in cui si stavano snocciolando i numeri al contrario, pronti a dare il via ai reattori di quel modulo lunare che portò i primi astronauti su un altro pianeta, quel sogno americano lo aveva raggiunto per se stesso, ma lo stava regalando a tutta l’umanità. Quell’ingegnere, figlio di emigranti italiani era il direttore del lancio di Cape Canaveral da dove l’avventura di Armstrong e compagni ebbe inizio.
L’avventura della sua famiglia, invece, era iniziata a Sasso di Castalda, piccolo borgo nel Potentino dov’erano nati i suoi genitori,Teresa e Antonio che poi decisero di emigrare ad Amsterdam, una cittadina di trentamila abitanti a un paio di ore da New York. Qui, nel marzo del 1926 nacque Rocco. Fu chiamato così dai coniugi Petrone in onore al santo protettore di Sasso di Castalda. Era il loro secondogenito. Gli dettero anche un altro nome – Anthony – in onore del padre che però, Rocco, non avrebbe mai conosciuto: morì, in un incidente sul lavoro, nel cantiere ferroviario dov’era impiegato, quando lui aveva 27 anni e il suo figlioletto appena sei mesi.
La storia di Rocco Petrone, è raccontata oggi dal giornalista e scrittore Renato Cantore: lo fa con un libro, Dalla Terra alla Luna, Rocco Petrone, l’Italiano dell’Apollo 11′, edito in Italia da Rubbettino uscito da pochi giorni, che ha ispirato anche un documentario, diretto da Marco Spagnoli (il soggetto è firmato da Cantore), in onda sul canale History Channel, della piattaforma sky).
Il documentario dal titolo ‘Luna italiana’, prodotto da Istituto Luce-Cinecittà per A+E Networks Italia con il patrocinio di Agenzia Spaziale Italiana e in collaborazione con la Nasa, ricostruisce la vita e la personalità di Rocco Petrone (1926-2006), direttore delle operazioni di lancio dell’Apollo, collaboratore di Wernher Von Braun, che ha svolto un ruolo chiave nella conquista del cosmo. Una storia raccontata grazie al libro di Renato Cantore che ricostruisce la vita di questo figlio di emigranti della Basilicata.
Potentino, classe 1952, Renato Cantore è laureato con lode in Filosofia nell’Università ‘Federico II’ di Napoli. Nel 1979 vince un concorso nazionale per praticanti giornalisti bandito dalla Rai e viene assunto nella sede regionale per la Basilicata. Nel 1984 partecipa alla prima sperimentazione di ‘Televideo’ e nel 1985 lavora nelle redazioni romana e milanese di ‘Linea diretta’, con Enzo Biagi.
Nel 1999 viene nominato caporedattore del Tgr Basilicata, incarico che ricopre per oltre dieci anni. Sotto la sua gestione, il Tgr lucano ha ottenuto due riconoscimenti internazionali: il premio “Eco” della stampa ecologica internazionale a Ohrid, Macedonia, e il premio “Green Vision” a San Pietroburgo in Russia.
Nel 2010, per sei mesi, ha diretto il Tgr della Puglia. Nell’agosto dello stesso anno, riceve l’incarico di coordinare la produzione di tutti i telegiornali regionali per i 150 anni dell’Unità nazionale. Dal gennaio 2012 ha curato l’informazione della Tgr da e per le comunità regionali italiane nel mondo. Nel luglio 2015 diventa vice direttore della testata giornalistica regionale della Rai.
Renato Cantore, quando si è imbattuto per la prima volta nella storia di Rocco Petrone?
E’ una storia che conosco da sempre. All’epoca del lancio, cinquant’anni fa, se ne parlò. Ne parlarono i giornali. La stessa cronaca di Tito Stagno, passata alla storia, raccontava delle origini italiane di quell’ingegnere che era a capo del centro di lancio del missile che stava portando tre astronauti sulla luna.
E’ una storia, quella di Rocco, che ci racconta dal vero il sogno americano.
Nel modo più assoluto, in maniera clamorosa. Rocco era figlio di emigranti della nostra Basilicata, rimase orfano a sei mesi. Era destinato a una vita terribile, invece, si è fatto da solo, grazie, ovviamente, anche alla comunità italiana presente negli Stati Uniti. Quella di Rocco è anche una storia di accoglienza, una di quelle storie che mettono in evidenza gli aspetti belli e positivi che può avere l’America.
Cosa c’era di lucano in lui?
Intanto la faccia. La fisionomia. Bastava guardarlo per capire che era un uomo della nostra terra, il volto, gli occhi, le sopracciglia. E poi mi ricorda quel tipo di lucano che ha raccontato Leonardo Sinisgalli: un lucano posseduto dal demone dell’insoddisfazione, mai contento dei risultati ottenuti, sempre alla ricerca di qualcosa in più.
Il suo libro ha ispirato anche un documentario.
Luna Italiana, prodotto dall’istituto Luce per History Channel. Lo abbiamo presentato a Matera in anteprima, è andato in onda il 18 luglio. Io firmo il soggetto, la regia è di Marco spagnoli, la voce narrante di Laura Morante.
Nello scrivere la storia di questo illustre personaggio lucano c’è qualcosa che l’ha colpita, che ancora non aveva messo a fuoco?
Un paio di cose. Ho intervistato la figlia Terry, Teresa come la madre di Rocco che in questo aveva mantenuto le abitudini delle sue origini, e quando le ho chiesto da bambini come avevano vissuto con un padre importante come il loro, mi ha risposto che per lei era una cosa normale. Che i suoi compagni di gioco, le persone che frequentava erano tutti figli di ingeneri, piloti, progettisti. Vivevano in un mondo nel quale ogni attività era indirizzata a preparare lo sbarco sulla luna. L’altro episodio che mi ha sorpreso riguarda il carattere di Rocco Petrone. Era un uomo duro, inflessibile, capace di grandi rimproveri ma anche di cacciare via i suoi collaboratori quando sbagliavano. Insomma, tutti lo temevano. Mi hanno raccontato che un giorno, mentre era in corso il conto alla rovescia per il lancio di un razzo, qualcuno si accorse che nella zona d’azione del missile avevano nidificato due aironi rosa, che avrebbero fatto una brutta fine. Andarono a riferirglielo anche a costo di essere maltrattati. Invece la sua reazione fu opposta: fece fermare il countdown, mandò alcune auto della sicurezza a far scappare gli aironi e poi riprese le operazioni di lancio.
Qual era il suo rapporto con Sasso di Castalda?
E’ tornato un paio di volte. Lui aveva studiato a West Point, dopo la guerra fu mandato in una base americana in Germania. Da lì un paio di volte è andato a Sasso per incontrare i suoi parenti. Ho intervistato alcuni suoi cugini, viventi, e ricordano che Rosso in paese si trovò un po’ a disagio con il sistema di vita italiano. Prima di partire disse a uno dei suoi parenti: “Non ho capito perché spendete tanti soldi per le sigarette e perdete così tanto tempo in chiacchiere al bar”.