La storia che diventa maestra ed è capace di indicare nuove strade e nuove prospettive. Che traccia traguardi nuovi. E’ questo l’obiettivo della mostra “Lo sguardo europeo ritrovato”, inaugurata con un convegno a Matera e che resterà visitabile fino al 31 ottobre nella città dei Sassi, che la ospita nella storica Casa Grotta di Vico Solitario 11.

La storia, in questo caso è fatta di foto: scatti di civiltà contadina ripresi da Prospero Di Nubila, il cui patrimonio è stato donato, dai figli e dai nipoti, all’Università di Basilicata.

“Ci piace pensare che quelle immagini di vita contadina, di ruralità possa ancora oggi far ripensare  valori di socialità, di solidarietà, di condivisione, di affetti famigliari che possono concorrere a nuove prospettive per una nuova Europa”, sottolinea il professor Renato Di Nubila (nella foto sotto il titolo), di Francavilla in Sinni, figlio di Prospero e  docente ordinario di Metodologia della formazione, della Facoltà di Scienze della Formazione all’Università di Padova.

L’idea della mostra nasce da uno scambio intergenerazionale fra l’ingegner Felice Di Nubila – altro figlio di Prospero – e la nipote Mariarosa,  responsabile di progetti europei a Bruxelles, sulla ancora possibile relazione fra l’Europa e le Regioni periferiche come la Basilicata e l’intero Mezzogiorno per la soluzione dei suoi  problemi socio-economici e culturali.

A raccontarci il senso della mostra e il valore delle immagini esposte è il professor Renato Di Nubila.

Cos’è il fondo Prospero Di Nubila?

Un fondo di circa cinquecento fotografie che abbiamo donato all’Università della Basilicata alla cattedra di Tradizioni popolari. Mio padre che faceva il commerciante, aveva un negozio, come suo fratello era appassionato di fotografia ed ha sempre collezionato tutto ciò che sapesse di riti, di feste, di momenti tristi e anche allegri.

Suo padre era un punto di riferimenti per molti contadini del paese…

Quanti di loro, prima di partire, di emigrare, perché analfabeti andavano da lui per farsi scrivere lettere di credenziali. Alcune le ho trovate io stesso in Argentina. Un giorno una signora mi fece vedere un foglio e mi disse: “riconosce questo?”. Certo, risposi, quella era la scrittura di mio padre. Descriveva il curriculum di contadini, le loro capacità, le aspettative.

Un’attività e una passione che raccontano quanto fosse attaccato al territorio.

Aveva un duplice aspetto: oltre all’attaccamento alla nostra terra c’è un’attenzione grande al sociale. Lui aveva un’altra bella passione: la curiosità. Amava conoscere e diffondere: voleva che gli altri sapessero e conoscessero. Collezionava articoli, poi ce li leggeva intorno al caminetto. Le racconto un aneddoto: un giorno venne – era l’estate del 1957, sul trattato di Roma di Aprile, quello con cui è stata istituita la Comunità Europea. Venne con un paginone della Domenica del Corriere che raccontava i sei stati fondatori e ci disse: chissà, anche noi un giorno saremo forti come questi.

Aveva già capito le potenzialità dell’Europa che voi riprendete con questa mostra…

Quando abbiamo cominciato a pensare  questa mostra, ci siamo detti: le foto raccontano fatti di civiltà contadina vissuta. Se dobbiamo mostrarli,  facciamolo in prospettiva europea.

Cosa significa?

Significa che una civiltà contadina che volesse rimanere solo un ricordo rimane un mito, non cammina più, rimane ferma. Invece deve diventare storia. I ricordi devono parlare al presente e il presente del Sud oggi, insegnamento di De Gasperi, si fa solo in prospettiva europea, un Sud capace di affacciarsi sul Mediterraneo. Serve una rete fra Università del mediterraneo, un Sud capace di diventare un emporio e riferimento dell’Africa, del Medio oriente e d’altra parte sono i suggerimenti che indirettamente lo Svimez ha dato in un rapporto che risale a poche settimane fa, dicendo di stare attenti a un paio di fenomeni preoccupanti, i giovani che vanno via e il territorio che si spopola. Abbiamo bisogno di abituare i giovani non tanto a ripopolare ma a  tornare ad abitare questa terra, l’Europa su questo ha piani di sviluppo, noi non abbiamo altre alternative per cui questo sguardo della civiltà contadina di ieri ci deve imparare a guardare il futuro di domani.

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