Quando si siede davanti al pianoforte riesce a esprimere diverse anime con la sua musica: Rocco Mentissi è capace di smuovere malinconia e romanticismo, ma anche di toccare le corde dell’ironia e dello scherzo. La sua musica è a tratti introspettiva, a tratti giocosa. E’ forte e sincera quasi a rievocare i caratteri della sua terra, la Lucania.
Tutto questo è il frutto di un percorso musicale che vanta esperienze variegate: dal repertorio classico al popolare, dal blues al jazz, dalla musica per banda al prog-rock.
Nel suo ultimo lavoro, “Pais”, ha voluto condensare tutto questo, unendo l’elettronica al popolare, in un disco che rievoca i ricordi della sua infanzia, senza perdere di vista le situazioni attuali di una terra che deve fare i conti con lo spopolamento.
Pàis, in greco, significa fanciullo. In dialetto lucano (ma anche nel resto del Sud), spostando l’accento, diventa “paese”. “Pais” è il nome dello spettacolo che Rocco Mentissi presenta (ore 23 nel chiostro degli Agostiniani) durante Nottissima, a Empoli, sabato 14 settembre.
E’ il titolo del suo ultimo disco. Rocco Mentissi lo proporrà al pianoforte, accompagnato da Fabio Sabato alla batteria, da Ivan Mentissi al clarinetto, da Rocco Pio Raimondo al basso tuba e da Paolo Miccolis al violoncello.
E’ uno spettacolo proposto all’amministrazione comunale dall’Associazione dei Lucani in Toscana, animata da Nicola Daraio e presieduta da Donato Di Nardo.
Rocco Mentissi, originario di Tolve, è uno dei musicisti di spicco della Basilicata. Direttore della Banda di Tolve, impegno che ha ereditato dal padre Francesco, che la fece nascere 26 anni fa. Ma è, soprattutto, un docente di filosofia al Liceo Classico Q. O. Flacco di Potenza. Aspetto, questo, che collima – e non poco – con la sua produzione musicale.
Che spettacolo è Pais?
Pais ha un doppio significato: fanciullo in greco, paese nel nostro dialetto. Sono partito da una proporzione: il fanciullo sta all’uomo come il paese sta alla città. Il paese, alla fine, è la dimensione umanistica e antropologica più autentica, più in linea con l’uomo. La riflessione di fondo è che mi sento smarrito in questo mondo dove le relazioni, ma soprattutto i valori, non sono quelli di una volta. L’umanità latita. Sono felicissimo di essere a Empoli, con questa formazione, per presentare Pais, che è il mio secondo album.
Come nasce musicista?
Sono stato allievo di mio padre e poi ho studiato al Conservatorio, dove mi sono diplomato in composizione e direzione orchestra fiati. Attualmente dirigo la banda del mio paese e l’ “Orchestra a plettro D. Manfredi” di Avigliano, un altro importante centro lucano.
Direttore di banda: potrebbe “suonare” riduttivo.
Non è il nome che fa la banda, ma il modo di suonare. Si dice che quando una banda suona bene, suona come un’orchestra. Ma è improprio. Una banda ha i suoi suoni, le sue peculiarità, l’orchestra è universale nell’organico, la banda è più legata al territorio: paese che vai, banda che trovi. L’organico varia tanto. La banda l’ho ereditata da mio padre Francesco che la fondò, a Tolve, nel 1992. Ma ci tengo a dire che sono laureato in filosofia, infatti insegno – questo è il mio lavoro principale – al Liceo Classico di Potenza, la stessa scuola dove ho studiato da ragazzo. Stare a contatto con i giovani è bellissimo, mi tiene in vita.
Pais è un disco di brani originali?
Sì, nei miei concerti suono brani originali, ormai dal 2014, quando è uscito il mio primo disco “TraMe”.
Che musica propone?
Credo molto nelle avanguardie, credo che si debba avere il coraggio di rischiare nel proporre altri linguaggi. Ancorarsi al passato, se non lo si fa in maniera critica, rischia di essere una zavorra.
Il territorio, in questo caso la Basilicata, l’aiuta a trovare l’ispirazione?
Sì, tanto. C’è una bellissima tradizione popolare che si sposa con il mondo greco, con lo spirito dionisiaco prima e il tarantismo dopo. Ho militato per diversi anni nella formazione dei Tarantolati del maestro Antonio Infantino. Lo dico senza falsa modestia: dove la mia musica è conosciuta, tutto questo è merito solo della mia musica. Se un giorno la mia musica resterà solo a casa mia, vuol dire che era adatta per casa….Questo è un principio che mi accompagna da sempre. Molto spesso però non si ha la prospettiva giusta per capire il valore di un artista. Ci sono filtri e pregiudizi che non sempre aiutano a leggere in maniera libera e autentica il prodotto d’arte.
Quali sono i traguardi che le hanno procurato più soddisfazioni?
Sicuramente festeggiare i 25 anni della banda di Tolve. Era un progetto di mio padre, io l’ho portato avanti, in una zona dove lo spopolamento è esponenziale, fa piacere vedere tanti giovani crescere, diventare musicisti e validissimi professionisti. E poi l’uscita di “Pais” il mio secondo disco: ho unito l’elettronica (con il valente sound-designer Leonardo Corbo) ai suoni classici, ho dato una lettura diversa alla cosidetta musica popolare. Sono due eventi che mi hanno procurato grandi emozioni.
Ricordo le bande della mia infanzia: erano gruppi numerosissimi. Oggi si sono assottigliati. Come si può combattere lo spopolamento?
Quando è nata la banda di Tolve, gli elementi erano 74. Oggi sono a malapena un terzo: ma con questo, si è ridotto il numero dei componenti non certo la qualità. Però credo che sia il momento di mettersi attorno a un tavolo. Tutti: politici, artisti, ricercatori, docenti, imprenditori per capire come possiamo salvare questa regione, caduta in uno spopolamento drammatico, che ci toglie il futuro. E’ il problema più grave che ci attanaglia. I veri migranti siamo noi, i nostri giovani: li stiamo perdendo, stiamo perdendo il futuro. Anzi, il presente stesso si sta già assottigliando.
Quali sono i suoi musicisti di riferimento?
Tanta musica classica. Mi ha influenzato qualche pianista jazz come Keith Jarret. Ultimamente sto seguendo Nils Frahm. E poi Fiorenzo Carpi, un grandissimo musicista italiano. Nella mia formazione non mancano Ludovico Einaudi, Philip Glass, Erik Satie: musicisti che con poche note riescono a costruire atmosfere profondissime.