Serralupo è uno dei tanti paesi del nostro Sud. In questo caso della Basilicata. E’ qui che è ambientato “La vendetta degli angeli” (Edizioni Leucotea, Sanremo), libro d’esordio di Gina Pepe. Impiegata di professione, scrittrice per passione, Gina Pepe è di Tricarico, ma vive da moltissimi anni ad Empoli dove anima, insieme a molti corregionali, un’attivissima associazione, la Alt Associazione Lucani in Toscana.
Quella di narrare è una passione che ha sempre avuto. Narra storie. Ma anche la sua terra, la Basilicata, le persone e le sue tradizioni. “Come tutte le adolescenti ho cominciato a scrivere diari _ racconta la scrittrice _ li ho anche conservati a lungo, fino a disfarmene, non molto tempo fa. E poi racconti, piccole storie.
Il “la” alla scrittura di una storia più corposa, trasformata in libro, quand’è scattato?
“Ho frequentato un corso di scrittura creativa che in realtà mi ha spinta a ricominciare a scrivere. Un’altra forte motivazione è arrivata dopo aver partecipato, senza grosse aspettative, a un concorso che era stato indetto a Montelupo Fiorentino. Vinsi. Il premi prevedeva un viaggio a Parigi, fui costretta a superare la mia paura di volare. Dal corso di scrittura creativa, però, è nato il fulcro del romanzo. Un’idea intorno alla quale ho lavorato molto. Circa tre anni”.
“La vendetta degli angeli” parla di femminicidio.
Anche, ma non solo. E’ uno dei fatti. E’ soprattutto il pretesto per poter raccontare un mondo, un ambiente, le persone, le atmosfere che ruotano intorno a un paesino del sud in un periodo particolare, gli Anni trenta, in pieno Fascismo. Un periodo in cui la condizione della donna era ancora assai arretrata. Ho fatto delle ricerche storiche, sui giornali dell’epoca e devo dire che di fatti di cronaca nera, i quotidiani erano pieni.
Perché ha scelto come titolo “La vendetta degli angeli”?
Perché il racconto si snoda anche tra un continuo duello fra il bene e il male.
E intorno a questo, lei racconta la vita quotidiana di un paesino, Serralupo, che poi è un qualsiasi paese dell’interno della Basilicata, se non addirittura del nostro Sud.
L’idea è quella di raccontare la vita dei nostri paesi,quella che ti raccontano i nonni da bambino, che tramandano di generazione in generazione. E certe tradizioni che oggi non esistono più: i matrimoni che avvenivano dopo estenuanti trattative ed accordi sulla dote, le feste interminabili, che duravano anche giorni, l’esposizione del lenzuolo del letto matrimoniale, dopo la prima notte, a testimonianza della verginità della propria sposa.
Qual è l’idea di fondo che indica al lettore del suo libro?
Quella di una società che, nonostante la durezza della vita quotidiana, le fatiche, era serena e felice. Ho voluto raccontare la struttura della famiglia, ma anche l’emigrazione, le partenze di interi nuclei dal paese, per andare a cercare fortuna altrove.
Torniamo alla sua passione per lo scrivere: da dove nasce?
L’ho avuta da sempre. Forse anche condizionata da alcuni eventi. A Tricarico, il mio paese, venne a vivere per molto tempo una scrittrice americana, Ann Cornelisen. Era una ragazza, un studentessa all’epoca. Erano gli anni Cinquanta. Era stata inviata in paese dall’associazione canadese “Save the children fund” che, grazie ai fondi raccolti presso i nostri emigrati in America, avrebbe realizzato un asilo, l’asilo canadese. Lo abbiamo frequentato tutti, noi bambini di Tricarico: era moderno, innovativo. La Cornelisen per seguire questo progetto rimase molto tempo in paese. Aveva preso in affitto la casa di una mia zia. Su quel soggiorno in Basilicata scrisse un libro, “Torregreca”, quasi un trattato antropologico. Quando è tornata anni dopo in paese l’ho conosciuta, ho conosciuto la sua opera. Ma c’è anche un’altra persona che mi ha fatto amare la scrittura e la letteratura: il mio insegnante di italiano delle scuole medie, il professor Briganti.
“La vendetta degli angeli” è uscito poche settimane fa: lo ha già presentato in Basilicata e adesso lo sta portando in giro per la Toscana. Ha già in cantiere un nuovo romanzo?
Per ora l’ho in mente. Una storia che sto mettendo a fuoco e che presto comincerò a scrivere.
Sarà ancora ambientata nella sua terra d’origine?
Vedremo. E’ presto per dirlo. Ma quelli sono luoghi che conosco bene. E che mi porto dentro.