Quando parla di erbe e di fiori, Tonino fa l’effetto di un magnete. Attrae l’attenzione con i suoi racconti e i suoi aneddoti. Con la grande conoscenza delle erbe officinali lucane.

L’immagine di San Teodosio, protettore di Pietragalla

“Lo conoscete il fiore di San Teodosio?”, chiede mostrando una foto e arringando una folla di giovani studenti che sembra rapita da quelle parole.  “Lo chiamavano così perché San Teodosio in mano ha un fiore. E’ una palma in realtà, anche se qualcuno dice che sono orchidee. Scientificamente il suo tempo balsamico, cioè il momento in cui il fiore dà il massimo,  è nella settimana di San Teodosio. Ecco il perché del nome. Poi comincia a sfiorire. L’ho esplorato: all’interno ha due sacche. A una  è attaccata la pianta. Appena sfiorisce, l’altra sacca sopperisce al nutrimento”.

Tonino è Antonio Tantotero, un disoccupato di Pietragalla. Alle spalle ha vent’anni di lavoro in un’azienda che produceva batterie per auto, nella zona industriale di Tito. La multinazionale che l’aveva rilevata da un imprenditore milanese a un certo punto ha chiuso l’attività. Antonio è stato in cassa integrazione, ma oggi è un disoccupato senza ammortizzatori sociali.

E mette a frutto – è il caso di dirlo –  la sua passione e la sua sterminata conoscenza delle piante officinali della sua zona.

L’ex Sprar di Pietragalla (il sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati),  ha voluto sfruttare  queste sue conoscenze e lo ha coinvolto in un progetto, curato anche dall’Arci, che si è subito trasformato in una bellissima esperienza di vita e  di integrazione con Kaled, un profugo siriano. Il progetto, che si chiamava Intergreen è durato sei mesi.

Kaled Mhanna ha cinquant’anni, è scappato con la moglie e i suoi tre figli dalla guerra in Siria. Ha vissuto cinque anni in Libano e da oltre due abita a Pietragalla, dove ha trovato anche un impiego, da operaio, in una ditta di Potenza. Parla poco l’italiano, ma ha subito fatto capire che aveva nostalgia della terra. In Siria coltivava piante in un appezzamento di terreno che era di suo padre. E’ da qui che parte il progetto che ha unito Antonio e Kaled in un percorso di conoscenza, amicizia e integrazione.

Antonio Tantotero con in mano il bastone e i frutti mentre racconta le sue conoscenze sulle piante e le erbe officinali lucane

“Comincia tutto quando lo Sprar di Pietragalla mi interpella come conoscitore di erbe, amante della natura”, racconta Antonio Tantotero. Avrebbe dovuto coadiuvare un imprenditore agricolo della zona nella realizzazione di un progetto che riguardava due profughi. Ma ben presto Antonio diventa protagonista assoluto di quel progetto: ne cura la parte teorica e, soprattutto quella pratica. In un pezzo di terra abbandonato viene ricavato un  orto e, da maggio in poi, Antonio e Kaled hanno provveduto a piantare gli ortaggi e a ricavarne i frutti.

Kaled Mhanna lo ha bonificato. Quello che sembrava una selva è diventata un’oasi. I due usano solo concime organico. Producono pomodori, fagioli, cetrioli, insalate e zucchine.

“Ne abbiamo fatte più di 50 chili”, dice con l’orgoglio di un  contadino Antonio, mentre Kaled, che con l’italiano si fa aiutare dai figli, annuisce.

C’è, in quel terreno, un angolo dedicato al topinambur, alle melanzane, le rape rosse, peperoni e patate. E se non ci avessero messo piede i cinghiali, Antonio e Kaled avrebbero raccolto, d’estate, anche delle belle angurie. Ma hanno fatto gola agli animali selvatici.

C’è poi l’angolo d’oriente, quello che Kaled ha voluto riportare qui dalla sua terra.  “Abbiamo piantato il gombo. O Bamias, come si chiama in Siria. E’ una pianta diffusa solo parzialmente in Italia, ma che fa bene alla salute perché abbassa il colesterolo”.

E’ questo il simbolo dell’integrazione: il gombo.  O okra com’è comunemente chiamato in Italia.

Antonio, cos’è avvenuto intorno a questa pianta?

E’ successo che più che fare il docente, il nostro è stato un rapporto di scambio. Studiavamo le proprietà piante con un testo occidentale, poi Khaled si confrontava con un testo orientale.  C’è stato un intersecarsi di esperienze, di cultura, di conoscenze, orientali e occidentali sulla stessa pianta. Per me  più che insegnare è stato arricchirmi, grazie alle sue esperienze. Ho dato ma ho ricevuto allo stesso tempo.

 Così avete avuto modo di riprodurre anche alcune piante che arrivavano dalla terra di origine di Khaled.

Questo interscambio che si era creato in studio mi ha particolarmente interessato. Ho chiesto se era possibile integrare i nostri ortaggi con qualche pianta orientale. Mi ha cominciato a parlare del Gombo, noi lo chiamiamo okra. In Toscana e in Sicilia si sta diffondendo, anche se ancora non è molto conosciuto. E quindi non senza difficoltà siamo riusciti a ottenere i semi. Si trovano anche in Italia, ma  a noi li ha spediti un suo fratello dalla Siria. Khaled nel suo paese era un benestante, aveva un impiego da saldatore. La guerra gli ha portato via tutto: aveva un terreno, frutteti, ortaggi. E piantagioni di gombo. Abbiamo sperimentato anche le arachidi. Qui a Pietragalla sono rimasti stupefatti, mia moglie per prima: tutti pensavano che le arachidi si raccogliessero dalle piante, anziché dalla terra. Abbiamo fatto tante sperimentazioni, ma a latere di tutto questo metteva radici una bella amicizia e stima, favorita dall’amore delle natura. Sono subentrati i fattori umani. E’ stata un’esperienza di vita molto intensa.

Il progetto era finalizzato all’integrazione.

E a  testimoniare come si possa fare integrazione attraverso l’amore per la natura. Era l’intento principale del nostro progetto. Poi, la curiosità di questa pianta, che come dice Khaled abbassa il colesterolo, ha fatto il resto. Lo Sprar sta preparando un nuovo progetto che è finalizzato alla coltivazione di questa spezia. Ha un mercato di nicchia perché i prezzi sono alti: il Gombo è benefico per la salute ma si utilizza anche in cosmesi. Coi semi, ad esempio, si producono cosmetici come lo shampoo.

Cosa le lascia dentro questa esperienza?

Soddisfazione. Un segno indelebile. E poi mi ha lasciato questo senso di pienezza. E’ stato bello aiutare, collaborare con una persona che ha avuto un destino infelice, più infausto del mio, agevolarlo a questo nuovo percorso di vita.

Era il suo tutor?

Per quel progetto sì, ma devo confidare che lo sono diventato anche nella vita. Il progetto è finito, ma Khaled continua a coinvolgermi quando ha qualche dubbio o qualche difficoltà. Adesso mi ha chiesto informazioni per coltivare le cipolle. Ne doveva piantare un quintale, ha chiesto informazioni su quando piantarle, dove, qual era il  terreno più idoneo.

E a Kaled cos’è rimasto di questo percorso fatto insieme a lei?

Lui ha molta difficoltà ad esprimersi, ancora parla poco l’italiano, anche se sono due anni che vive a qui. Parla poco, ma  capisco dai gesti, dagli sguardi e dall’affetto che la sua è una gratitudine grande. Anche per lui oltre a essere un percorso di natura agricola, è stato un percorso di vita intenso.

Quello suo e di Khaled è un caso isolato?
Ce ne sono stati altri di progetti, però questo ha messo le ali nel momento in cui lo abbiamo comunicato, abbiamo raccontato i risultati ottenuti nell’orto e nelle nostre vite. Dopo il progetto, ho organizzato una serata, per raccontare con storie, aneddoti e un video realizzato da Giovanni Lancellotti. E’ nato così  “L’orto di Khaled”.

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