Whoopi Goldberg – la Sister Act del cinema – è stata per un’ora e mezza a guardarlo, in religioso silenzio, mentre lui si districava tra pentole e padelle. Susan Sarandon, quando l’ha visto ai fornelli della sua cucina, si è presentata con una fetta di pane e gli ha chiesto di “strusciarci” sopra il pomodoro. Lui, Filippo Sinisgalli, lo chef delle star di Hollywood a queste scene c’è ormai abituato, anche se si sente sempre quel ragazzo semplice di Missanello. Anche ora che è Chef Executive de “Il Palato Italiano”. E un po’ lo deve anche a suo nonno. E a un vecchio adagio, che gli recitava in dialetto lucano. “A tavola, siamo tutti uguali”. “E quando una diva come Susan Sarandon mi ha chiesto di farle pane e pomodoro, mi sono ricordato proprio di questo proverbio”.

“Ma lo ripeto – dice lo chef – Mi sento sempre un paesano di Missanello. Credo che questo mi abbia aiutato a mantenere sempre la rotta giusta. Negli ultimi anni questo lavoro ha portato a una trasformazione della figura del cuoco. Siamo diventati prima chef, poi tuttologi, anche di cose che non conosciamo bene. Appartengo a un modo di pensare completamente diverso: siamo abituati a stringerci la mano, a guardarci negli occhi, a parlare come si mangia e viceversa”.
Quando ha iniziato a occuparsi di cucina?
Non prestissimo. Il mio percorso comincia nella Marina Militare italiana: sono un ex ufficiale. Mi son diplomato in Marina, c’ero entrato giovanissimo. Sono arrivato al grado di sottufficiale, maresciallo, e poi ho avuto un incontro fulminante. Ho incontrato il signor Gualtiero Marchesi. Mi parlò, tramite un amico comune, un ammiraglio per il quale prestavo servizio come attendente per la logistica, della possibilità di frequentare la scuola Alma, a Colorno di Parma. Era appena nata. Prima di frequentare la scuola sono stato in giro, un po’ in Italia e anche all’estero, e poi sono finito all’Alma, dove mi sono diplomato per la seconda volta e poi mi sono specializzato. E ora sono 15 anni che sto nelle cucine.
Il suo maestro, dunque, è stato Gualtiero Marchesi?
La mia ispirazione arriva da lui, mi ha inculcato il seme della cucina, anche se poi le contaminazioni sono il frutto dalle varie esperienze che ho fatto in giro per il mondo.
Giri che le hanno fatto fare incontri eccezionali.
Ora lavoro e collaboro con Palato Italiana, un’azienda che fa capo a Luciano Nadia e Federica Bertani. Loro, un po’ di tempo fa, mentre io lavoravo a Dubai per Armani, mi parlarono di un progetto che mi piacque subito: una cucina senza tanti fronzoli da portare in giro, una cucina che parlasse dei prodotti italiani, degli elementi della civiltà contadina, senza intermediari. Sentire quelle cose è stata subito musica per le mie orecchie. Ho detto di sì immediatamente: volevo venire via dagli Emirati Arabi dove ero rimasto quasi un lustro. Con loro abbiamo messo a punto il progetto di Palato italiano che portiamo in giro per il mondo: il sapere della nostra cucina. In più abbiamo ideato un sistema di telepresenza grazie a una collaborazione con Cisco per assistere quelle persone che avevano bisogno di italianità e la necessità di saper usare i prodotti italiani. Non tutti sanno come utilizzare al meglio alcuni prodotti. Facciamo la fornitura delle cambuse agli yacth e poi con il sistema della telepresenza ci colleghiamo e facciamo lezioni di cucina a distanza, dall’approvvigionamento delle materie alla messa nel piatto.
E’ un servizio che fate solo voi. Siete unici?
Sì è una cosa unica. In Italia ci conoscono in pochi, il nostro core-business è in America. Questo mondo ci ha portato a conoscere personaggi importanti che ci hanno catapultato nel jet-set di Hoollywood. Abbiamo cucinato a Los Angeles per la Notte degli Oscar. Lo dico con un pizzico di orgoglio lucano, altrimenti spesso mi schernisco, per questo: ho cucinato per Susan Sarandon, per Andrea Bocelli, per Renato Zero, Gina Lollobrigida, per Whoopi Golbgerg, per Morgan Freeman. Quando me lo sono trovato davanti mi tremavano le gambe. E mi è capitato anche con Paul Sorvino. Sono un amante sfegatato dei film di Martin Scorzese. Ho cucinato per lui e Sorvino. Non capita tutti i giorni.
Chissà quanti aneddoti avrà collezionato, da raccontare agli amici.

Beh, dobbiamo tenere presente che queste persone ci ospitano a casa loro, sono molto gelosi della loro privacy. E’ gente che, per godersi una cena in santa pace, senza dover fare i conti con i fans, chiama a casa gli chef. E non si aspetta che poi quel che accade venga raccontato all’esterno. E quindi, spesso, noi siamo come le tre scimmiette: non vediamo, non sentiamo e non parliamo. Lo impone la professionalità. Però c’è un episodio che, quando mi accadde, mi riportò alla mente un detto che mio nonno ripeteva spesso: “Quando si è seduti a tavola, siamo tutti uguali, davanti alla fame”. Lo diceva in dialetto. Susan Sarandon, nel mio immaginario, era la star hollywoodiana abituata a mangiare piccoli assaggi di cose prelibate. Quando stavo cucinando per lei, mentre ero nella sua cucina preparare le pietanze, è venuta con una fetta di pane e mi ha chiesto se le potevo mettere il pomodoro sopra. Mi ha riportato indietro al detto di mio nonno. Ma anche al fatto che noi bambini del meridione, chissà quante volte lo abbiamo fatto, con le nostre mamme. Whoopi Goldberg fu fantastica: rimase a guardarci per tutto il tempo della preparazione della cena. Siamo arrivati a casa sua alle 5 del pomeriggio, abbiamo cominciato a far uscire i primi piatti intorno alle venti: lei è rimasta un’ora e un quarto in religioso silenzio a guardare quel che facevamo. Immaginate lo stato d’animo mio e dei miei ragazzi. Lei, l’attrice che ha vinto ogni premio che poteva vincere, un mostro sacro.
Di recente ha preparato un piatto lucano, per un progetto di valorizzazione dell’enogastronomia lucana.
L’ho fatto per Storie di Cibo di Nadia Toppino. Un progetto legato alla Lucania: mettiamo in mostra quel che c’è nel panorama enogastronomico della nostra regione. Credo che baccalà, pane, pomodorini secchi quelli del carrozzo, peperone, siano nell’immaginario di ogni lucano. Ho cercato di preparare il piatto, in modo che declinasse e potesse essere di ispirazioni per i futuri giovani lucani. Siamo una regione che merita di più: ci conoscono in pochi, abbiamo grandi potenzialità.
Cosa non manca mai, dalla sua dispensa, che ha radici lucane?
L’olio. Credo che quando uno ha l’olio in casa, sia ricco E’ un retaggio culturale inculcato dalla mia famiglia. La mia famiglia lo produceva. Io sono stato uno dei primi a utilizzare l’olio non come condimento, ma come ingrediente. Cosa c’è di più buono di pane, olio e pomodoro. O una bruschetta con l’olio appena uscito dal frantoio o con la polvere del peperone crusco? Sono cose che se no sei lucano non puoi sapere.
La sua ricetta preferita?
Il mio confort food è il minestrone. Mi è sempre piaciuto. Lo trovo un piatto che mette insieme tante verdure in un equilibrio perfetto. Ho pensato che le verdure sono come le persone. Si può stare insieme, si può convivere, serve solo cercare un equilibrio E poi la pasta al pomodoro. Spaghetto, pomodoro e basilico: me lo chiedono ovunque. E’ un piatto complicato perché come nel minestrone, serve equilibrio. E occorre scegliere gli ingredienti in maniera oculata. A cominciare dalla pasta.
Com’è la situazione enogastronomica in Basilicata?
Ho sempre detto quel che penso: dovremmo avere il coraggio di usare di più. Siamo fermi ancora ad alcuni stereotipi. Ci sono belle realtà che stanno venendo fuori, ma avremmo dovuto approfittare di più dell’occasione di Matera capitale europea della cultura. Eravamo sotto la lente di tutto il mondo. Forse dovremmo essere supportati di più anche dalla politica. La regione è bella, ma in tanti non la conoscono. Quando i miei amici vengono a trovarmi, restano scioccati dalla bellezza. Pochi luoghi possono vantare i panorami che abbiamo noi. Ma dobbiamo maturare. E poi c’è un’altra cosa: molti oggi si vantano di alcune cose che noi abbiamo sempre rispettato. In Basilicata la stagionalità era un obbligo. Il chilometro zero, per noi è sempre stato molto più corto. Mangiavamo i prodotti dell’orto dietro casa, la carne degli animali del cortile.
Che rapporto ha con le sue radici?
Non torno spesso. Ma quando posso ci scappo. Il lavoro mi tiene distante. Quando arrivo lì prendo la bici, che è la mia grande passione, e vado in giro. Mi godo i paesaggi e mi tengo in forma.