Quel tragitto in treno non finiva mai. Giuseppe viaggiava da quasi 15 ore. Era partito da Potenza ed era diretto in Versilia. A Marina di Pietrasanta, per la precisione. Giuseppe era un ragazzo gracile, timido e impaurito. Quella era la sua prima volta. La prima volta che si allontanava da casa per andare a lavorare. Uno stage estivo, in una struttura alberghiera. Faceva parte del suo percorso di studio, l’istituto alberghiero che aveva deciso di intraprendere dopo le medie. Aveva appena concluso il primo anno di studio.

Giuseppe Cannito, direttore Food and Beverage all’hotel Cipriani di Venezia

Giuseppe quel treno lo ha preso altre volte negli anni a venire. Per altrettante esperienze lavorative estive.  Perché stiamo parlando dei primi anni Ottanta. Oggi quel ragazzo gracile è un uomo, non è più impaurito, né timido. Ha spiccato il volo verso traguardi alti, altissimi: Giuseppe Cannito, oggi, è il direttore del Food and Beverage al Cipriani hotel di Venezia. Ma, nonostante tutto, di quel viaggio in treno che lo portava in Versilia, non ricorda solo l’emozione della sua prima volta ma soprattutto la lentezza, che è – oggi – una sua filosofia di vita. Che vorrebbe vedere applicata anche nella sua terra, la Basilicata, lui che è originario di Genzano di Lucania.

Com’è iniziato il suo percorso nel mondo dell’ospitalità?

Ricordo, subito dopo la scuola media, un periodo difficile per me, nel decidere il futuro. Soffrivo perché nel mio paese, Genzano, non vedevo prospettive, ma non capivo neppure l’indirizzo che avrei voluto prendere. Fu una cugina di mia mamma a parlarmi della scuola alberghiera. Non la conoscevo. Andai a Potenza a visitare l’istituto, rimasi colpito. Mi affascinò subito questo mondo. Iniziai nel 1978 e già dal primo anno ci dettero la possibilità di effettuare dei tirocini lavorativi nel periodo estivo.

Fu allora che intraprese quel lungo viaggio verso la Versilia?

Fu la prima avventura, a Marina di Pietrasanta, in Toscana. Ricordo  una grande emozione. A scuola avevo imparato la teoria, facevamo anche la pratica, ma senza la materia prima, cioè senza il cliente. Così al primo impatto ricordo i timori che avevo. Pensavo: adesso cosa mi chiederà? Sarò preparato? Saprò rispondere alle sue esigenze? È lì che ho capito che l’ospitalità è un grande mestiere, va fatto con il cuore.

Da meridionali, però, siamo favoriti in questo?

Si da meridionali siamo favoriti, a volte andiamo anche oltre, certi atteggiamenti potrebbero anche infastidire la nostra ospitalità. Occorre misura.

Come fu il ritorno a scuola dopo la prima esperienza lavorativa?

Al ritorno tutti condividemmo le esperienze fatte d’estate. Qualcuno era  stato all’estero e la cosa mi intrigava, così il secondo anno sono stato in Svizzera e ho cominciato a capire che l’apprendimento era duro. Erano tante ore di vero sacrificio. E lì ho fatto tesoro dall’insegnamento dei miei professori.

Dunque queste esperienze servono davvero.

Sono importantissime. Intanto per imparare o perfezionare le lingue ma anche per conoscere usi e costumi dei Paesi. Questo aiuta quando gli stranieri vengono ospiti in Italia. Terminologie e usi, abitudini. Le impari e poi le utilizzi a casa. Per questo motivo sono stato in Svizzera, in Inghilterra, in Francia e in Germania.

Qual è stata l’esperienza più formativa?

Direi tutte, ma avevo lasciato per ultima la Germania proprio perché a scuola avevo imparato l’inglese e il francese. Il tedesco era richiesto ma non l’avevo studiato, non faceva parte del mio percorso di studi. Così decisi di andare soprattutto per imparare la lingua. Anche perché i miei compagni che c’erano stati, al ritorno in classe mi dicevano che quella era un’esperienza difficile, dura, faticosa. Ecco perché decisi di farla da ultimo. Piano piano ho imparato la lingua, ma quella è stata l’esperienza più bella: ero in un hotel di lusso nel centro di Monaco di Baviera. Una struttura con 400 camere, sessanta suites, avevamo sale banchetto per dieci persone e  per 1500. Ho imparato a organizzare i servizi, ho imparato le astuzie del mestiere. E pensare che tutti me l’avevano sconsigliata come esperienza….

Dopo la Germania era il momento di pensare a un percorso lavorativo post scolastico…

D’agosto, essendo bassa stagione in Germania, tornai in Italia per due settimane di vacanza. Ero al mio paese, Genzano, quando una mattina, sul Corriere della Sera, lessi un annuncio interessante: un concorso per una compagnia alberghiera, la Ciga, Compagnia italiana grandi alberghi che raccoglie  i migliori “cinque stelle” italiana e esteri. Cercava assistenti per il Food e beverage. Feci domanda, cinque giorni dopo fui convocato alla prima selezione all’hotel Excelsior di Napoli. Fu una giornata intensa, durò dalle 9 alle 18. Sostenni un colloquio con lo psicologo, ci fecero fare lavori di gruppo e ci prospettarono problemi ai quali avremmo dovuto trovare soluzioni. Superai questa prova, fui sottoposto a un’altra. Stavola all’Excelsior di Roma, l’hotel di via Veneto. Mi misero davanti a una commissione di una decina di persone che mi fecero un attento esame personale. Su 1220 persone c’erano dieci posti disponibili. Mi presero. Questo percorso sarebbe durato un anno e mezzo, i primi tre mesi di teoria e poi c’erano degli stage in vari alberghi, nei vari reparti: cucina, ristorante, bar economato, amministrazione, centro lavaggi. Ho affrontato tutto con grande impegno e alla fine mi venne affidato un bellissimo progetto: introdurre i sistemi informatici nella ristorazione. Fu il primo gruppo in Italia ad effettuare questa grande trasformazione. Dopo divenni assistente del direttore generale di Food and Beverage per tutta la Compagnia. Due anni dopo mi chiamarono per rimpiazzare un collega all’hotel Europa e Regina di Venezia. Era in corso una ristrutturazione totale dell’albergo e mi fu affidata la realizzazione di una bella novità: introdurre la cucina a vista. Fu un’altra grande sfida, perché i cuochi sono bravi a lavorare nel back e quando sei davanti agli ospiti cambia tutto, dagli atteggiamenti ai movimenti, dai gesti al tono della voce.

Come andò?

Fu una bella impresa, resa piacevole anche da grandi risultati economici, favoriti dalla location dell’hotel, sul Canal Grande. Lì sono rimasto tre anni, poi il direttore dell’area, mi disse: ora venga all’hotel Danieli, una casa storica, più grande e più difficile. Ci sono stato sette anni, poi decisi di fare una esperienza diretta nella ristorazione tradizionale, gestendo  lo storico  Caffè Quadri in piazza San Marco. Ma quando la famiglia cambiò destinazione, decisi di spostarmi.

Fu allora che  approdò all’hotel Cipriani?

Si, ed è qui che sono tutt’ora. E’ un hotel importante, che mette l’ospitalità al centro. Lo dicono anche i numeri: ci sono 96 camere, si possono ospitare 180 persone al massimo e lo staff è di 250 persone. Questo fa capire il livello qualitativo dell’ospitalità. L’attività di ristorazione complessa: 4 ristoranti, due bar, eventi per 350 persone, servizio di  maggiordomo, room service. Fino a prima del Covid avevo una divisione composta da 140 colleghi, per un lavoro che è stagionale. Il Cipriani apre a marzo e chiude a novembre, ha una clientela internazionale, americani, inglesi, asiatici, europei. Gli italiani sono appena il 3 per cento.

Nel suo percorso professionale ha affrontato due rivoluzioni del settore dell’ospitalità: l’informatizzazione e la trasformazione della vecchia idea di cucina con quella moderna, a vista, dello show-cooking. Aveva  dei punti di riferimento per realizzarle?

Sono stato fortunato nel mio tragitto, ho incontrato sempre grandi maestri. Il primo  mio direttore aveva frequentato la scuola di Losanna, la prima scuola alberghiera al mondo, un’eccellenza. Mi seguiva durante il tirocinio, intuì le mie risorse. Un giorno mi disse, la prossima settimana vai in vacanza, poi, al rientro, lavorerai a un progetto. Era quello dell’informatizzazione. Gli disse che non sapevo neppure come si accendesse un computer. Mi mandò in vacanza regalandomi un libro, il manuale di Ms-Dos.  Era in inglese, non ci capivo niente. Ma a lui serviva per misurare le mie capacità. Ho cominciato così, al progetto ho dedicato tante ore, lui mi ha sempre seguito. Pronto a darmi le giuste indicazioni quando servivano. E io mi sono sempre sentito tutelato. Ma ci ho messo del mio: impegno e voglia di imparare una tecnologia che era il futuro. Per la cucina a vista, avevo avuto modo di capire all’estero come funzionavano. Quando son tornato in Italia ho fatto fatica a adeguarmi al sistema italiano. All’estero, per me era semplice, non pesante. Forse per mentalità, la responsabilità.

Chissà quante storie, quanti aneddoti le sono capitati…

Giuseppe Cannito (al centro) in occasione di una recente consegna di un riconoscimento per la sua attività professionale

Certo, è inevitabile. Una volta i reali di Thailandia dovevano arrivare al Danieli. C’era dietro una grande preparazione. Un anno prima erano cominciate le ispezioni, per quella che sarebbe stata una visita di quattro giorni. Contatti e visite continue dall’ambasciata di Roma. Questo tipo di servizio non è facile, soprattutto sul fronte della sicurezza. Una settimana prima del loro arrivo ci furono altre ispezioni. I reali erano attesi la domenica pomeriggio e il venerdì sera alle 19 l’organizzatore della visita mi chiama e mi dice di essersi dimenticato di una cosa fondamentale: servivano sette linee telefoniche dirette, cioè non passanti dal centralino dell’hotel. Ci era capitata la stessa richiesta altre volte, ma serviva un mese di tempo, quello che occorre ai tecnici della compagnia telefonica. Ho cominciato a chiamare i responsabili del servizio, a Trieste per porre loro il problema. Il dirigente, che conoscevo, mi disse che era quasi impossibile ma che ci avrebbe provato. Alle 23 della sera, mi confermò che al mattino seguente sarebbero venuti gli operai. Arrivarono all’alba, per fortuna c’era una cabina vicino all’hotel e l’operazione fu fatta in breve tempo. Al segretario dei reali la feci pesare, dissi che non era stato possibile, per poi tornare subito dopo e dargli la buona notizia.

Come finì?

I reali arrivano, per noi furono tre giorni e tre notti intensi perché avevano esigenze anche notturne. Alla fine, il segretario della coppia chiamò me e il direttore generale dicendoci che i reali avrebbero voluto parlare con noi. Con un po’ di timore ma rispettando tutto il cerimoniale, andammo, preoccupati per quel che avrebbero potuto dirci. Invece, il segretario aveva raccontato loro quel che eravamo riusciti a fare con le linee telefoniche e il re aveva deciso di ringraziarci. Mi regalò una spilla d’oro. Ringraziai, poi una volta usciti dalla stanza, il segretario mi prese da parte e mi disse: se viene in Thailandia quella spilla deve indossarla. È il segno che ha reso un servigio alla casa reale e avrà un trattamento di riguardo dalla popolazione. Fu una grande emozione.

Però qualche volta si sarà pure trovato in difficoltà?

Sì, ma per fortuna me la sono sempre cavata. Tre anni fa una signora emiliana organizzò il suo compleanno al Cipriani per 50 persone. Mi disse: ci sarà anche un complesso italiano a suonare. La chiamerà il loro manager, per prendere accordi. Fu così.Il giorno della festa prepariamo il tutto: il gruppo musicale era atteso per le prove intorno alle 15. Appena il batterista si mise a sedere notai che avev auno sguardo contrariato. Così mi avvicinai per capire cosa fosse. E lui mi disse: ma qui manca il charleston. Non sapevo neppure di cosa si trattasse. Mi spiegò che era quello strumento che ha due piatti con il pedale. “Dobbiamo trovarlo”, fu l’ordine del direttore. Di sabato sera? , pensai. Così comincio a sfogliare la mia agenda,  chiamo le agenzie di organizzazione di eventi. Un amico di Genova mi fece notare che era quasi impossibile: era un sabato, molti sarebbero stati a suonare. Ma dopo poco mi richiamò dicendomi l’aveva trovato, ce l’aveva un ragazzo che m’aspettava a Rialto e me l’avrebbe consegnato. Andai e tutto finì bene.

Qual è il segreto per non trovarsi mai in difficoltà?

Quel che mi hanno insegnato i miei maestri è che devi avere sempre un piano di emergenza, sempre un’alternativa. Questo mi ha permesso di poter superare ogni ostacolo che mi si è presentato davanti.

Facile immaginare che il suo lavoro la tenga lontano dalle sue origini: che rapporto ha con la Basilicata?

Ne  sento la mancanza, grazie ai social riesco a tenere contatti e ad essere aggiornato. A mio avviso ritengo che questo sia un momento positivo per la Basilicata. So che c’è un clima di sfiducia perché i giovani vanno via. Ma soprattutto nel mio settore, ritengo che ci siano prospettive. C’è un patrimonio per creare un turismo di nicchia, tipo il fenomeno slow food, dove il tempo corre lentamente, poter assaporare i profumi, camminare pe i sentieri storici.

Ecco che torna il tema della lentezza…

Oggi il cliente non viaggia per nutrirsi, per il cibo, ma per vivere una emozione, per avere un’esperienza. Se questa la personalizziamo, abbiamo centrato l’obiettivo. Se offro i prodotti del territorio, utilizzati in modo corretto, rispettando la materia prima, con la tradizione in chiave moderna, racconto la storia di ogni piatto, racconto quel che vedo, la natura il paesaggio, mi resterà in mente il luogo e anche il momento.

Giusta ricetta: ma ci sono le professionalità per questo?

Questo è uno dei problemi. La professionalità si crea con gli imprenditori. A me lascia l’amaro in bocca. Molti aspettano qualcosa che arrivi dal pubblico. Certo, alcune cose deve farlo il pubblico, ma il piccolo imprenditore deve poter dare qualcosa al  territorio e alla società. Io tra le altre cose mi occupo anche di formazione dei giovani, in Trentino. Gli allievi sono studenti che dopo collabora nell’alta formazione del turismo le scuole svolgono due anni di formazione. Lì hanno creato un laboratorio-albergo. I ragazzi oltre alla teoria affrontano il fare. Si misurano con le cose reali, con l’ambiente di lavoro. E questo progetto è possibile grazie al fatto che la scuola è affiancata da imprenditori che credono in questo, danno una mano alla crescita, hanno capito che è necessario. Questo modello è stato divulgato in altre regioni: abbiamo chiuso un accordo con Zegna, a Biella. Da gennaio parte un corso di assistente alla direzione di struttura alberghiera. Poi partirà una esperienza simile anche a Firenze. Il pubblico si deve muovere in sinergia con il singolo, col privato. Questo in Basilicata manca, ma non son pessimista. Vedo un futuro. Certo, è più lento per una serie di fattori che sappiamo bene. Però occorre avere l’umiltà di imparare da altri. Questo è difficile, perché molti sono gelosi della propria professionalità. Invece ci deve essere uno scambio. Abbiamo la fortuna che in Lucania l’ospitalità  è genuina. Basterebbe esportare questo. Ma occorre importare la conoscenza tecnica, perché l’ospitalità va fatta con un certo stile. Lo spirito c’è, occorre dargli una forma.

Ce l’ha un luogo del cuore nella sua terra?

Beh, più che un luogo del cuore, è il luogo della mia infanzia ed è legato a un sogno: il centro storico di Genzano che è abbandonato. Vorrei vederlo rinascere con le botteghe degli artigiani. Far rivivere i centri storici è  fondamentale. In questi anni abbiamo costruito nelle periferie, con strutture e palazzi. I centri storici, i vecchi nuclei dei paesi sono abbandonati. Invece è proprio lì che possiamo raccontare, agli altri,  una storia. Ma anche in questo caso occorre lavorare e condividere con gli altri, non essere individualisti. Questa è una debolezza: perché non guardare i modelli dove tutto questo funziona?

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