Nicoletta Montemarano durante la cerimonia per la presentazione del suo libro di ricette lucane. E non solo…

AI fornelli per passione. Ma anche per raccontarsi. Per raccontare la propria vita e le proprie radici. Così Nicoletta Montemarano, melfese di origine, ha conquistato una fetta di Lombardia.

Non senza sforzi, né sacrifici. Anzi, lottando contro pregiudizi e barriere che – soprattutto negli anni Settanta – hanno accomunato molti meridionali che si erano trasferiti al Nord.

E quell’esperienza, insieme alle ricette della sua terra (ma non solo), sono diventati un libro che, come dice il titolo è più che un manuale di buona cucina: è un viaggio attraverso i ricordi e la cultura culinaria del monte Vulture e del Melfese. Attraverso la storia di una donna che, come tante, è stata costretta a vivere lontana dalla propria terra di origine. “Il tempo inesorabilmente passa, quello che resta nella memoria è ciò che è stato tramandato e l’hai fatto tuo. Si dice spesso di guardare al futuro e dimenticare il passato ma esso è parte integrante dell’oggi e del domani e della vita stessa. Da che mondo è mondo l’uomo si nutre: perché complicarsi la vita cucinando piatti troppo elaborati? Venite con me e faremo un bel viaggio tra i ricordi e le tradizioni e la cultura culinaria di Melfi e dintorni viste e raccontate attraverso gli occhi e la memoria di un’allora bambina. Di quando il pane si faceva esclusivamente in casa  e le polpette di pane con la pasta fresca fatta a casa costituivano il pranzo della domenica. Quando i bambini facevano merenda mentre giocavano in strada e inventavano nuovi giochi. Quando il grano si mieteva e la terra si lavorava con la forza della braccia. Quando il pollo era ruspante e la famiglia aveva un senso. Tutto questo per non dimenticare le proprie origini di ciò che era e ciò che sarà”, scrive l’autrice nella presentazione del suo libro.

Come nasce l’idea delle “Ricette di Nicoletta”?

Premetto che scrivere è sempre stata una mia passione, fin dall’infanzia. Quando sono arrivata, con la famiglia, in Lombardia, tanti prodotti alimentari del nostro Sud non si trovavano ancora. Andavo nei mercati, chiedevo, ma il più delle volte la gente mi rispondeva informandosi su come si cucinavano. Puntualmente davo delle indicazioni, raccontavo come avrei cucinato quegli alimenti. Poi mi sono detta: ma perché non scriverle queste ricette, anziché divulgarle oralmente? Così è nato il libro.

Come dice il sottotitolo, il suo racconto è un viaggio. Che comincia a Melfi, il posto dov’è nata.

Insieme alle ricette racconto la mia vita, fin da quando sono arrivata in Lombardia. Ero una ragazzina. Avevo 16 anni e mi ero staccata proprio malvolentieri dal mio paese, dalla mia terra. Adesso di anni ne sono passati oltre cinquanta.

La voglia di scrivere da cosa nasce?

Mi è sempre piaciuto divulgare. Storie, ricette, fatti del passato. L’ho sempre fatto nei ritagli di tempo: sono casalinga, mamma di tre figli maschi e adesso nonna di tre nipotine.

Qual è il piatto che le hanno chiesto più spesso di spiegare?

Non ce n’è uno in particolare, ma spesso mi hanno chiesto come si cucinano i lampascioni. Oppure come preparavo il baccalà. O  le cime di rape. I piatti della mia terra, insomma. Le ricette che descrivo nel libro sono il frutto di una lunga ricerca. Nel corso degli anni ho consultato le donne più anziane del mio paese, mi sono fatto raccontare le loro abitudini culinarie, come cucinavano certi piatti. Poi io li ho ammodernati, li ho resi attuali. Anche nel libro seguo il corso delle stagioni e i loro prodotti. Per ognuna di esse, poi, racconto anche alcuni aneddoti legati ai cibi e agli alimenti. Storie che mi riguardano da vicino.

Ad esempio?

Una riguarda il dado. Adesso lo produco a casa, vegetale. Ma per me è stata una scoperta quando sono arrivata in Lombardia. Non lo avevo mai usato prima, non lo conoscevo.

Il suo viaggio attraverso le ricette va oltre l’asse Basilicata-Lombardia…

L’ultima parte del libro l’ho dedicata alle ricette di altri luoghi d’Italia: racconto ricette venete, piemontesi, siciliane. I cibi della nostra quotidianità, quelli che ho cucinato tante volte per la mia famiglia.

Qual è la ricetta che fa – o ha fatto- più spesso ai suoi figli?

La mia pastasciutta. E’ speciale…Me la chiedevano costantemente. E’ fatta con il sugo alla lucana: un sugo misto, con braciole, carne di agnello, di maiale e bocconcini di muscolo.

Quali sono i prodotti lucani che non mancano mai a casa sua?

Devo confessare che sono molti, perché non ho mai smesso di cucinare le cose di casa mia. Ma non possono mancare mai il pecorino, i lampascioni, le cime di rapa, la pasta fatta in casa.

Nel libro c’è anche la sua vita?

Sì, un bellissimo viaggio cominciato quando avevo sedici anni. Ma con un percorso fatto anche di sofferenze e di arrabbiature…

A cosa si riferisce?

All’inizio ho dovuto lottare per essere accolta, integrata nel tessuto sociale del posto in cui siamo arrivati con la famiglia. Mi sono arrabbiata spesso con la gente, perché mi sentivo sempre sotto esame mentre io ritenevo di non dover dimostrare niente  a nessuno. La mia famiglia era umile ma con una grande dingità. Non è stato semplice.

Quando ha capito che quelle barriere erano state abbattute?

Quando  sono stata incaricata di fare dei corsi di cucina. Era una iniziativa del Comune di Besozzo, un paese vicino al posto dove vivo, che è Cocquio Trevisago. I corsi sono stati frequentatissimi, c’erano molti allievi, è stata una grande esperienza e da quei corsi ho avuto molte soddisfazioni. Che poi sono sfociate anche in altre esperienze: ad esempio sono stata, come concorrente, alla trasmissione “Il Piattoforte” che Iva Zanicchi conduceva a Canale Cinque. E, quando ho pubblicato il mio libro di ricette, abbiamo organizzato  una serata di gala con tanti prodotti lucani.

Cosa le manca di più della sua terra?

Il calore umano. I varesotti, come gran parte delle popolazioni del Nord,  sono freddi di carattere. Forse anche questa caratteristica ha influito, all’inizio, nel fatto che mi sentivo poco accettata, esclusa.

Ha sempre i legami con la sua terra?

Le radici sono ben salde, non le ho mai staccate: a Melfi ho una casetta, torno tutte le  volte che posso.

1 COMMENTO

  1. Grande la mia sorellona ?
    Da piccola la chiamavo mamma perché Lei era presente, i nostri genitori andavano nei campi la mattina presto
    Le ho fatto da damigella quando si è sposata con orgoglio
    E ho sofferto tantissimo la sua lontananza
    Sei grande (come dico sempre) in tutti i sensi

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