“0gni strada di paese, è un piccolo paese”. Un piccolo mondo, con tutte le sue sfaccettature. Sembra il copione di un film. E gli ingredienti ci sono tutti. Ma sono gli stessi ingredienti che hanno fatto parte del bagaglio personale di tanti dei nostri nonni. “Il nipote di Monsignore” è scritto con un linguaggio avvincente e con atmosfere che potrebbero appartenere ad ogni Sud del mondo. Ogni personaggio si porta dentro quel che ha recepito e percepito dalla sua terra. Gioie e dolori, amori e odi, rabbia, rancori e pregiudizi. Maria Rocco, questa storia, l’ha scritta diversi anni fa. L’ha pure pubblicata. Ma adesso ritiene che possa essere riproposto: che sia il momento per farlo tornare sugli scaffali delle librerie.
“Era uscito nel 2011 – racconta l’autrice – però dopo un paio di anni di presentazioni e promozioni, finì fuori catalogo. Lo avevo pubblicato con una piccola casa editrice. Adesso mi piacerebbe che a curarne la nuova edizione fosse una casa editrice lucana. Perché la storia è tutta… lucana”.
E’ ambientata a Viggiano: lo si capisce perché la storia comincia proprio con la processione della Madonna Nera
“Mia mamma si trasferì lì da Napoli. Erano gli anni Cinquanta, la guerra era finita da poco: ci ha sempre raccontato che i primi tempi erano stati duri. Piangeva spesso. Poi, però, è diventata una viggianese “doc”: ha messo famiglia lì e non ha mai più pensato a lasciare Viggiano.
Torniamo al libro. Come nasce la sua passione per la scrittura?
“Sono una grandissima lettrice, da sempre. Lo devo alla mia maestra delle elementari. Era una persona molto intelligente. Ogni giorno alle 12,30 quando eravamo stanche, quando la nostra attenzione era calata, lei ci faceva mettere tutto da parte e leggevamo un libro. Così ho conosciuto le grandi storie, Ben Hur, Piccole donne. Leggevamo a turno noi scolare. E io aspettavo con trepidazione le 12,30 per sapere come finivano queste storie. Poi mi è venuto facile, quasi automatico, passare alla scrittura”.
E’ per questo che nel suo romanzo due dei personaggi chiave e positivi della storia sono delle insegnanti?
“Mia mamma era una maestra, mia sorella insegna. Ho sempre avuto davanti ai miei occhi il loro esempio, il loro modo di intendere l’insegnamento. E poi molte delle storie che si intrecciano, attorno ai personaggi principali, sono attinte proprio da esperienze dirette della mia famiglia”.
Ad esempio?
Ho attinto alla storia dei miei nonni. Maria la mia nonna materna: suo marito Giuseppe andò giovanissimo in Argentina e non è mai tornato. Una vicenda come tante, di quell’epoca, dei nostri paesi. Adesso, con il web, sto facendo tante ricerche per cercare qualche traccia della sua permanenza in Argentina. L’altro giorno mi ha intervistato una giornalista di Buenos Aires che ha saputo delle mie ricerche e ha pubblicato un articolo. Angelina e Giuseppe del libro, sono i miei nonni. Ho messo insieme tanti piccoli episodi veramente accaduti, cuciti insieme con la fantasia.
Il nipote di monsignore è la storia di un amore contrastato, per colpa del diverso rango sociale dei due protagonisti: lui, il giovane, è il nipote di un prelato, lei, la donna invece, arriva da una famiglia umile. Figlia di un contadino. Lei racconta tutto quello che ruota intorno a questa storia, tanti microcosmi messi insieme.
“Sono lucana a tutti gli effetti. Ci ho vissuto, fino agli anni Ottanta, quando poi mi sono trasferita a Napoli. Conosco benissimo i pregi e difetti dei piccoli paesi. C’è tanta solidarietà, ma anche tanti pregiudizi che faticano a scomparire. E che vengono a galla. Siamo vittime e carnefici allo stesso tempo: anche chi si lamenta di tutto questo, diventa come gli altri. Fa parte di un ingranaggio che diventa difficile manomettere.
Però, senza voler svelare come va a finire la storia che racconta nel suo romanzo, lei intravede una certa redenzione finale.
E’ il tema che ho ripreso anche con un romanzo successivo. Nel 2016 partecipai a un concorso in Toscana. Vinsi e il premio era la pubblicazione del libro. Si intitola “E poi venne il perdono”. Anche in questo caso racconto una storia familiare: quella della famiglia di mio marito. Il significato è che con il trascorrere del tempo tante cose, tanti asti, vengono abbandonati. Tutti i personaggi della mia storia fanno cose sbagliate, ma ognuno ha una parte di ragione e alla fine c’è la redenzione. Per me è importante capire che nella vita le proprie sofferenze, i propri dolori non sono il risultato dei comportamenti degli altri, ma in fondo siamo noi stessi gli artefici. Giovanni, il personaggio che sposa la ragazza protagonista del libro, sa benissimo che lei non lo ama e non lo amerà perché il suo cuore batte per il nipote del monsignore. Ma lei è bella, sa che averla accanto le fa fare bella figura. E la porta all’altare.
Torniamo al luogo dov’è ambientata. C’è Viggiano, c’è la sua Madonna, venerata in tutta la Regione. E c’è l’arpa, la musica…
A Viggiano c’è una tradizione musicale forte, mio padre suonava il sassofono nella banda, conosceva le opere sinfoniche e questa passione me l’ha trasmessa. Lui mi ha fatto amare la lirica, che caratterizza anche un personaggio della mia storia. Mi piaceva dare questa struttura a un personaggio che, pur essendo molto umile, aveva i sentimenti e le passioni di una persona colta. A Viggiano tanti suonavano la musica, pur essendo quasi analfabeti. Papà ha suonato nella banda di Potenza.
Ma è vero che se le sue storie hanno visto la luce si deve tutto a un… pc ricevuto inaspettatamente?
“E’ così. A un certo punto l’azienda per la quale lavoro, mi ha assegnato un pc portatile. Negli Anni 80 mi sono laureata in biologia, ma quelli erano gli anni del boom dell’informatica. L’Iri aveva necessità di ampliare l’organico e, non essendoci più reperibili figure professionali precise, si rivolse alle Università della città per avere la lista degli studenti che si erano laureati con voti alti. Mi arrivò una proposta, non avevo grandi prospettive nel campo della ricerca, che era il percorso che volevo intraprendere. Occorreva costanza e qualche raccomandazione, per accedere. Non potevo restare parcheggiata per anni, lavorare gratis fino a che non si aprivano le prospettive. Non potevo permetterlo. Così quando mi chiamarono, superai il test attitudinale, andai a fare un colloquio a Roma e mi assunsero: il primo stipendio era tre volte tanto quel che prendevo allora. Quando, dopo qualche anno, ci dettero in dotazione un pc portatile, la mia vita cambiò. A casa scrivevo tutto su un quaderno. A penna. La possibilità di usare il computer mi aprì delle prospettive nuove.