E’ una storia d’amore. Per un mestiere, il gelataio, per una città che è Firenze, per un territorio, la Basilicata. Che poi sono soprattutto le sue radici. Luigi Buonansegna questi sentimenti li ha intrecciati: della passione per il gelato ne ha fatto il suo mestiere, a Firenze riconosce il fatto di avergli fatto conoscere l’artigianalità nel produrre gelati. E la Basilicata la celebra ogni giorno, con i suoi prodotti, con la qualità delle materie che utilizza. E grazie a questo, lui stesso è diventato una eccellenza lucana.
Tutto nasce a Firenze.
Sì, ho un legame fortissimo con Firenze. E’ la mia seconda casa. Dopo il liceo sono partito per studiare giurisprudenza: a Firenze mi sono laureato, ho iniziato a lavorare al Palazzo di Giustizia, in Corte d’Appello per un po’ di tempo. Oltre alla formazione da studente, Firenze mi ha regalato la formazione da gelatiere. Tutte le mie prime esperienze le ho fatte a Firenze.
Come avviene l’incontro con il gelato?
E’ stato sempre la mia passione, fin da piccolo. Ne ero ghiotto, come tutti i bimbi. Mi incuriosiva e mi attraevano il colore e le forme. Ho sempre cercato di saperne di più, volevo capire come si realizzasse. Poi il destino ha voluto che andassi a studiare a Firenze dove si dice sia nato, grazie a Bernardo Buontalenti, il gelato. Lì ho conosciuto, a una manifestazione in piazza, l’associazione dei gelatieri artigiani fiorentini che è un’associazione diversa da tutte le altre sparse in Italia: è fatta da tutti gelatieri fiorentini che hanno bottega a Firenze e quotidianamente producono gelato. Persone che vivono di gelato. L’associazione organizzava una manifestazione che si chiamava Gelatieri in piazza, con degli show cooking. Ne sono rimasto attratto, mi sono letteralmente innamorato. Loro tenevano dei corsi, mi sono iscritto e da lì è partito tutto…
Chi sono i suoi maestri?
Tutti loro: da Ciro Cammilli a Vetulio Bondi, da Alessandro Malotti ad Alessandro Cambi, da Cinzia Otri a Giampiero Burgio, il Gotha del gelato a Firenze e dintorni: Giovanni Ballerini a Signa, Burgio a Lastra a Signa, Malotti a Scandicci.
Quando è diventato un mestiere?
Dopo il corso ho capito che la passione potesse anche diventare un lavoro. Ho voluto saperne di più, ho fatto corsi di gelateria a diversi livelli, approfondimenti sugli zuccheri, ho seguito un corso di chimica degli alimenti all’università di Firenze, ho fatto esperienza nella gelateria Perché No, in centro a Firenze, in quella di Alessandro Malotti a Scandicci. Tutti loro mi dicevano: torna in Basilicata, apri la tua gelateria. Me lo ripetevano sempre, alla fine ho deciso di tornare in Basilicata, anche perché il lavoro al Palazzo di Giustizia era un contratto a progetto, a tempo determinato, senza prospettive. Così, siccome nel mio paese di origine, Pignola, i miei hanno una attività storica, un bar, quello del centro del paese, ho deciso di tornare, aprire il mio laboratorio e rubare un piccolo spazio a mio padre nel per vendere il mio prodotto. Questo è avvenuto tre anni fa.
E’ stato un salto nel buio?
Quando ho imparato ed ho capito cosa volesse dire produrre un buon gelato, cosa c’è dietro alla sua creazione, quanto racconto del territorio si può fare attraverso il gelato, mi stupiva che in Basilicata, nelle gelaterie che io conoscevo e frequentavo, tutto questo non c’era, non avveniva. Nessun legame con il territorio, pur conoscendo prodotti locali d’eccellenza. Le faccio un esempio: la fragola. La trovavo nelle gelaterie di Firenze, di Lucca, di Pisa ma non riuscivo a trovarla nelle gelaterie lucane. Questa cosa mi ha spinto a tornare ad investire nella mia terra, ma soprattutto nei prodotti della mia terra.
E’ stata una scelta d’amore?
Assolutamente di amore, verso la mia terra, le mia famiglia, le mie radici, ma se vogliamo anche verso quelle persone che credono in quel che fanno. Prima di avviare la mia attività ho girato tra i produttori locali, ho conosciuto le realtà del posto ed ho visto che dietro dei prodotti importanti, di alta qualità, ci sono sempre delle persone di spessore. La gran parte delle eccellenze lucane son prodotti da piccole aziende, di dimensioni familiari, che dedicano al loro prodotto un’attenzione veramente pazzesca. Ed è questo che rende ciò che producono un’eccellenza. Il latte che utilizzo, ad esempio, è il latte Nobile, da metodo nobile. E’ prodotto da un’azienda che è a pochissimi chilometri da Pignola e da Potenza ed ha una dimensione familiare: sono due ragazzi, marito e moglie con una storia simile alla mia. Laureati in economia a Bologna, decidono di tornare nell’azienda che era di famiglia e di portare delle innovazioni: hanno portato il metodo nobile in Basilicata. E’ la Taverna Centomani: hanno delle stalle, le mucche le chiamano per nome. Il latte che producono è di qualità superiore rispetto agli altri. Ed è un risultato dovuto all’amore. Un altro esempio arriva dal pistacchio di Stigliano. La produzione lucana non ha nulla da invidiare alle altre eccellenze italiane. La realtà da cui mi servo è piccola, familiare, la gestiscono marito e moglie. Quando ordino il pistacchio vengono direttamente loro a portarmi le confezioni in gelateria. Questo si può fare in una realtà piccola, come le nostre.
Parliamo di alta qualità: c’è sensibilità da parte della clientela. Viene riconosciuta questa qualità?
Quando ho iniziato, avevo paura. Sapevo di proporre un prodotto diverso da quello a cui erano abituati, perché era fatto senza semilavorati d’industria, solo con materie prime, senza basi pronte ma con prodotti naturali. Questo poteva confondere il cliente. Avevo paura ch non potessero apprezzare il mio prodotto, soprattutto per l’abitudine a quelli semi industriali, se non interamente industriali. Invece sono stato subito smentito. Le racconto un aneddoto: la prima mantecata che ho fatto nel mio laboratorio l’ho fatta davanti ai miei genitori, alla mia famiglia: mi ricordo che feci il pistacchio per farlo assaggiare. Quando il gelato usciva dalla macchina mia mamma esclamò: ma come, questo pistacchio non è verde? Forse non è buono. Sapevo che andavo incontro a questi pregiudizi. Poi l’hanno assaggiato e c’è stata subito una grande attenzione, una risposta positiva, hanno capito la bontà e la qualità del prodotto che offrivo. Questo mi ha reso felice…
E poi sono arrivati i riconoscimenti che sono una riprova, un test per la qualità del suo gelato.
Faccio fatica a basarmi su questo. Non sono un tipo che si autocelebra.
Ma il Gambero rosso scrive che lei ha il miglior gelato al cioccolato d’Italia
Sì è vero e con un altro gusto, che celebra le mie radici, ho partecipato al concorso internazionale Sherbet. E’ una manifestazione che si tiene in Sicilia ed è la Champions League della gelateria. A quel gusto sono molto legato perchè ci sono tre ingredienti che parlano della mia terra: cioccolato bianco aromatizzato allo zafferano di Basilicata, una composta di albicocche di Rotondella e una granella di pistacchio di Stigliano. E’ l’Oro lucano. I giudici hanno ritenuto che fosse il prodotto migliore tra quelli presentati alla rassegna.
Ha dedicato, di recente, anche un gelato a Procida. Perché?
Procida mi piace ma il gelato è un omaggio al fatto che sarà capitale italiana della cultura, nel 2022 e questo darà all’Italia intera una grande visibilità. E poi perché gli ingredienti sono il limone, limoncello, limone candito, l’anima di quell’area geografica.
E adesso sta studiando qualche altro gusto?
Sono in continua ricerca, sono uno sperimentatore. In questo periodo dedicando un’attenzione particolare alle masse di cacao con mono origini diversi: Madagascar, Venezuela, Ecuador Tahiti ecc. Sto sperimentando questi gelati a base d’acqua con le masse di cacao. E poi farò dei gusti nuovi e li proporrò ai miei clienti. Ma sempre con un obiettivo: raccontare il territorio attraverso il gelato.