A pensarci bene, io la mia vita lucana l’ho vissuta proprio non vivendola. (G. Bruno, Di spalle al vento, ed. Edigrafema)

E’ come riavvolgere un nastro, tornare indietro, dove tutto è cominciato o dove tutto si è interrotto. Dove tutto è rimasto sospeso.

E’ come ricostruire un ponte tra il presente e quel che ci siamo lasciati alle spalle. E quel ponte si materializza più volte, nel corso della storia: è il ponte Morandi crollato a Genova alla vigilia di un Ferragosto, è il ruolo che assume il protagonista, un giornalista cinquantenne che si occupa di cronaca e di politica, è quel filo che a un’estremità ha il presente malato (come malato è il ponte che collassa) e all’altra il passato interrotto 38 anni prima, in maniera improvvisa e drammatica in un paesino lucano.

E’, per dirla con l’autore, “quella passerella simbolica che unisce la Liguria e la Basilicata, mediante il percorso di un uomo impegnato nel giornalismo”.

C’è questo in “Di spalle al vento”, romanzo opera prima di Gianluca Bruno, pubblicato da Edigrafema nella collana Lucincittà. E molto di più: emozioni, attualità, politica, denuncia.

E’ la storia di Andrea Vitale, giornalista politico per un quotidiano di Genova, che scopre di avere una grave malattia che lo spinge a un viaggio alla ricerca di sé stesso, del suo passato nella sua terra di origine, la Basilicata. Quel viaggio è pieno di personaggi, di luoghi, di episodi che riaffiorano e che spingono Andrea a fare i conti con sé stesso, con quel che gli è capitato in passato e, adesso che deve  combattere con la malattia.

Gianluca Bruno, giornalista e scrittore: Di spalle al vento è il suo primo romanzo. Lo ha pubblicato Edigrafema

Gianluca Bruno è giornalista ed esperto in comunicazione istituzionale e politico. Cresciuto a Rotondella, vive a Matera ma per ragioni di studio prima e di lavoro poi, ha vissuto in vari luoghi d’Italia. Tra le sue esperienze professionali c’è anche un impiego a Genova, città che lo ha conquistato e che lo ha ispirato per questa sua opera prima.

Gianluca, quando è nata l’idea di questo romanzo?

All’indomani del crollo del ponte Morandi. Quando davanti a quella tragedia ho cominciato a pensare che fino a meno di cento giorni prima, su quel ponte chissà quante volte ero passato, con la mia auto e in compagnia della mia bambina. I tecnici che successivamente hanno fatto i sopralluoghi e le indagini per capire le cause del crollo, hanno sottolineato come questo poteva verificarsi in qualsiasi momento, non c’è stato un evento scatenante che lo ha provocato, quel 14 agosto.

Il ponte è un’immagine, reale o figurativa, che usa spesso nel suo libro.

Con il ponte il mio romanzo si apre e si chiude. E poi, forse non tutti sanno che anche in Basilicata c’è un ponte Morandi. E come non considerare il giornalismo un mestiere ponte per eccellenza?

Chi è Andrea Vitale, il protagonista del libro?

E’ un giornalista. Un personaggio dal carattere forte, irreprensibile. E’ uno che non fa sconti. E’ coerente. Anche irriverente. E questo lo potrebbe far sembrare antipatico. Ma non è così. E’ un uomo che, davanti alla sua malattia, sente il bisogno di andare a riallacciare quei fili con le certezze che si erano spezzate tragicamente molti anni addietro. Avverte la sensazione di aver vissuto una vita distante da quella rimasta, immortalata, nel luogo della sua origine. E che proprio quella esistenza così lontana, ha bisogno di essere  rivisitata,“curata”.

E qual è l’epilogo di questa vicenda?

E’ di speranza. Andrea quando torna nel paese da cui era partito si chiede: è possibile la pace con queste mura, con queste case, con me stesso? La risposta che si dà è: mi consola soltanto la pioggia che, sopraggiunta discreta, lava le strade dai miei passi stranieri.

Qual è il messaggio che vorrebbe si cogliesse dalla lettura di questa storia?

Più di uno. Il primo riguarda l’italianità, il senso di appartenenza che dovremmo recuperare. Non dobbiamo aspettare le tragedie, i drammi, per sentirci appartenenti alla stessa Nazione. Siamo italiani sempre, non solamente per festeggiare un successo sportivo. Questa dimensione, questa italianità è una cosa a cui tutti noi dovremmo far riferimento sempre, anche nel dibattuto politico, ad esempio  tra nord e sud. La questione meridionale non è mai stata completamente risolta. Vorrei anche far riflettere sul fatto che spesso si rinnegano le proprie radici. E, altra riflessione importante che sottolineo nel racconto riguarda i bambini. Vanno ascoltati, a loro va rivolta attenzione.  A volte dalle loro parole possono arrivare spunti originali che possono servire a risolvere questioni complesse. Dalla semplicità delle parole dei bambini, che sono liberi, senza sovrastrutture, spontanei, possiamo trarre importanti insegnamenti.

E, per restare alla sua esperienza personale, si può avere dalla propria figlia, il suggerimento giusto per il titolo del primo romanzo. E’ accaduto questo con Spalle al vento?

Di spalle al vento, che è  diventato il titolo definitivo della storia, è una frase che mia figlia Giorgia ha pronunciato a pochi giorni dalla stampa: mangiavo ciliegie con lei, seduto di spalle al balcone da cui entrava un vento  insidioso. “Sei di spalle al vento, papà” mi disse. Ho pensato ad Andrea, il mio personaggio, e alle sue spalle che il vento lo hanno retto. E non è l’unica citazione di mia figlia che ho disseminato nel romanzo.

C’è anche un messaggio di bellezza, nella sua storia. Tante citazioni colte e la sana abitudine che ha Andrea e la sua famiglia, di andare in giro per l’Italia e il mondo a visitare musei.

E’ un auspicio: venerare la bellezza di fronte al male. Educare i bambini alla bellezza. Se sei disposto a capire la bellezza, sei predisposto anche tu al bello.

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