C’è una geografia dei luoghi, una degli uomini e dei loro saperi; una geografia delle emozioni. Località che si intrecciano e che racchiudono le eredità di chi ci ha vissuto. Lucus a Lucendo, a proposito di Carlo Levi, è tutto questo: è un viaggio che intreccia traiettorie e volti, persone ed esperienze, dal Sud al Nord, che passa attraverso la Francia e che va alla ricerca dei segni, indelebili e attuali, lasciati in ognuno di questi posti da Carlo Levi.
Il film documentario realizzato da Enrico Masi e da Alessandra Lancellotti incontra le diverse traiettorie di vita, di tempo e di espressione artistica di uno degli intellettuali più influenti del Novecento europeo. Carlo Levi che contribuito alla complessa storia d’Italia tra il fascismo e il dopoguerra. Noto per il Cristo si è fermato a Eboli (diventato, grazie al regista Franco Rosi, anche
Un film nel 1979), scrittore, pittore, medico, antropologo e poeta per vocazione, uomo politico per passione fu condannato al confino per antifascismo. Il film interroga queste diverse tensioni, e un florilegio di temi leviani per niente superati, e urgenti: il significato della libertà, l’idolatria del potere, le retoriche della propaganda. E la stupenda scoperta dell’altro, la sua antropologia nel Mezzogiorno dei poveri, dei contadini, delle classi subalterne. Che significò per lui e per la nostra cultura una straordinaria scoperta di sé. Un fuoco di pensiero critico e di umanità.
Il film documentario di Alessandra Lancellotti ed Enrico Masi è stato presentato e ben accolto dalla critica del 37° Torino Film Festival, ed ora è in circolazione nelle di numerose città italiane: il 20 ottobre alle 19 sarà proiettato a Firenze, al Cinema teatro La Compagnia (dove verrà replicato anche il 25 ottobre, alle ore 17) e il 21 a Pisa, al cinema Arsenale (alle ore 21).
Un viaggio, quello del documentario, partito poche settimane fa da Bologna, dalla città che accoglie la Caucaso, casa di produzione che ha prodotto Lucus a Lucendo con Luce-Cinecittà, e in collaborazione con Domvs Films. Il film è stato realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund, con il fondo etico BCC Basilicata, il supporto della Fondazione Carlo Levi, del Comune di Tursi, del Comune di Aliano e con il Patrocinio della Città di Torino, Città di Matera e Lucana Film Commission.
Protagonista del film è Stefano Levi Della Torre, pittore e nipote dell’intellettuale torinese, che a distanza di due generazioni intraprende una ricerca che lo porta tra la Liguria, il Piemonte, Milano, Firenze, Roma, la Lucania, la Bretagna e Parigi. Un viaggio fisico e interiore nell’universo leviano. Il documentario attraversa gli anni più sensibili del Novecento italiano, stagione che Carlo ha vissuto e raccontato con la propria arte.
Ad accompagnarlo, uno dei più importanti studiosi e intellettuali italiani, Carlo Ginzburg, e Alessandra Lancellotti, regista e personaggio in campo, che incarna un nuovo discepolo, ruolo che Stefano aveva ricoperto con lo zio.
Il loro dialogo si intreccia con le immagini di alcuni dei più importanti archivi visivi d’Italia; con i grandi avvenimenti della storia collettiva e con la dimensione intima, familiare e artistica di Carlo Levi.
E corrono le immagini di ieri e di oggi della Lucania, rivelata nel Cristo. Quel territorio di cui Carlo Levi ricordava il passato boschivo con l’espressione Lucus a non Lucendo (bosco della non luce). Quel paesaggio oscuro conosciuto durante il suo confino.
Il film segna l’esordio alla regia di Alessandra Lancellotti, architetto lucano. Ed è la nuova regia di Enrico Masi, regista già presente nel panorama del documentario italiano.
Con i due registi parliamo dell’opera e del suo significato.
Come e perché nasce questo vostro film?
Alessandra: Siamo in due ad aver diretto questo film e veniamo da due territori molto diversi. Enrico è bolognese, ha fondato Caucaso, che ha prodotto il nostro film insieme a Istituto Luce, Domus Films e Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico. Il suo sguardo su Carlo Levi aveva in qualche modo il senso della distanza dell’antropologia, mentre il mio contributo, dal momento che sono lucana e vivo a Torino era più interno rispetto alle storie, ai personaggi e alle sue narrazioni. E’ stata la ricerca della mia identità, tra i 20 e 30 anni, la fase in cui si ragiona sul senso delle proprie origini.
Il film ha radici lucane, dunque?
Alessandra: Il film nasce in Basilicata, in particolar modo in un borgo, Craco, noto per essere una città abbandonata, all’interno della quale vengono girati molti film. A noi interessava perché si trovava nel territorio del confino di Carlo Levi. Il borgo dove ha vissuto da confinato è Aliano, ma il paesaggio che avvolge Craco è lo stesso, la matrice del paesaggio che poi emerge nella pittura di Levi è legata a questi calanchi molto organici, molto femminili, che ritroviamo nelle onde della sua pittura. Craco aveva anche una eredità più forte, legata al presente, dal momento che nel 1979 Francesco Rosi quasi interamente qui girò Cristo s’è fermato a Eboli per il cinema. Lì abbiamo conosciuto una famiglia di contadini, che sono diventati coprotagonisti del nostro documentario insieme a Stefano Levi Della Torre, nipote di Carlo Levi. Loro portano una autenticità che è propria della cultura contadina, ancora con una semplicità vergine, non contaminata, come si può leggere nel Cristo. E sono portatori di una memoria, per aver conosciuto Levi grazie a Gian Maria Volontè, l’attore che lo interpretava nel film di Rosi.
Cosa ha significato questo?
E’ un senso del passato e del presente, del vero e non vero, della presenza e dell’assenza molto forte, fattore importante dal momento che questo film è costruito intorno a una grande assenza della nostra vita che è Carlo Levi. La sfida è stata quella di trovare l’eredità di Levi, che fosse ancora parlante nel presente, anche negli altri territori toccati nel suo impegno. E quindi abbiamo cominciato con Stefano Levi a fare un viaggio tra il Sud dell’Italia e il nord della Francia. Ogni territorio è connotato da un significato diverso: la Lucania è la terra contadina, poi Roma è la città in cui lui vive fino alla morte dopo la fine della guerra, qui ha il suo studio, denominato l’ambasciata contadina; poi Firenze che rappresenta gli anni della Resistenza, il suo impegno antifascista. Torino è la città natale dove si forma come pittore innanzitutto, ma qui plasma anche il suo spirito politico insieme a Giustizia e Libertà; poi la collina di Alassio dove emerge il suo amore per il paesaggio. Parigi è la città del fuoriuscitismo e poi la c’è Bretagna dove lui passa la fine degli Anni Trenta e dove scrive il suo primo romanzo pubblicato dopo il Cristo. Questo film è un viaggio che abbiamo fatto insieme a diversi persone che l’hanno conosciuto o conservano la memoria del suo impegno.
C’è un punto di unione tra tutti questi luoghi geografici?
Enrico Masi: Sentiamo un carico di responsabilità, forse dovuto alla nostra relativamente giovane età. Per me è il quarto film, per Alessandra il primo lungometraggio e il primo che facciamo in coppia. Un’opera importante per la nostra crescita ma che sta avendo una diffusione molto vasta. Cosa connette questi sette luoghi? Una traiettoria di vita di una figura importante. Carlo Levi è un borghese di Torino, ha una casa in Liguria, come tutta la borghesia dell’epoca. E’ la seconda casa, casa della pittura. Ad Alassio dipinge molto,più che a Torino. Levi va a Parigi per accrescere le sue conoscenze. Ci va per studiare. Oggi diremmo che Parigi è il luogo del suo “Erasmus”. Dipinge ad Alassio, poi va nella capitale francese dove incontra, frequenta e si confronta con Chagall e Soutine. A queste tre località vanno aggiunte Firenze, la Bretagna e la Lucania che riteniamo i luoghi del confino: in Francia è un auto esilio dovuto alle leggi razziali, la Basilicata è il confino vero e proprio. Levi doveva starci tre anni, ma dopo dieci mesi questa brutta esperienza si concluse per l’amnistia del 1936 concessa in seguito alla conquista dell’Impero. Anche Firenze è connotata da un’attività clandestina. Levi è stato uno dei protagonisti della liberazione della città toscana. Questi tre territori sono legati all’idea del confino. Roma, infine, è il luogo della vita dopo il successo, dopo la Liberazione, ma anche il luogo della morte. E, forse, a Roma trova la sua dimensione.
Quanto è attuale Carlo Levi?
Enrico Masi: Per dare una risposta a questa domanda, che ci siamo posti anche durante la lavorazione del film, abbiamo dovuto dedicare molto del nostro tempo allo studio dell’opera di Levi e dei territori che lui ha vissuto. Così abbiamo capito la grande attualità di Levi, che sta emergendo. Importante in Levi è la questione Nord/Sud. Non solo la questione del Sud del Mondo, non solo la questione meridionale degli Anni Cinquanta, che pure lo vide protagonista. Il tema dell’attualità di Carlo Levi sta in quel fenomeno che il poeta e paesologo Franco Arminio definisce delle aree interne, l’irrisolto problema delle aree interne, dello spopolamento e, ancora più storica, del Risorgimento, del grande divario tra Nord e Sud.
Alessandra: A carattere generale, più universale, abbiamo voluto valorizzare questa tematica anche con il titolo. Carlo Levi usa, nel suo Cristo s’è fermato a Eboli, la citazione di Varrone “Lucus a non Lucendo”, per indicare un bosco fitto, dove non passa la luce. Noi, anche in accordo con Stefano Levi Della Torre, abbiamo voluto togliere quella negazione, capovolgendo il senso: quella luce in grado di attraversare i luoghi oscuri e Carlo Levi come faro sulla conoscenza.
Cosa voi aspettate da questa pellicola?
Enrico Masi: Come autori di cinema sperimentale, o cinema saggistico, come preferisce definirlo il critico cinematografico Adriano Aprà, ci piacerebbe che questo film fosse un tassello importante nel dibattito su cos’è il documentario contemporaneo, su cos’è possibili fare oggi con il documentario: noi prendiamo dei temi e li trattiamo con il linguaggio che conosciamo, il documentario appunto. Vorremmo che fosse un nostro contributo a una svolta, a un passo in avanti, su questo tipo di strumento. Per quel che riguarda il tema specifico, crediamo che partecipare a una riconoscenza nei confronti di Carlo Levi, una figura un po’ dimenticata, per parlare del Novecento, sia importante, non solo come contributo alla memoria, che pure è meritoria e lo dimostra il fatto che ogni nostra proiezione di questi giorni ha il contributo reale degli Istituti storici della Resistenza, c’è anche la voglia di riprendere i temi di Levi, il Nord e il sud, temi irrisolti.
Alessandra: Per noi è importante anche parlare di questo tema alle nuove generazioni. Esiste un ponte tra il 900 di Carlo Levi e il presente: ce ne rendiamo conto parlando con i giovani che stiamo conoscendo durante la presentazione di Lucus a Lucendo.