Carlo Vincent Mastropietro, musicista e insegnate, autore di “Raccontini musicali”

Gli strumenti li aveva comprati don Ciccio, per farsi perdonare dal paese di essere stato Podestà. A mio zio toccò il trombino in mi bemolle e a mio padre il Genis. Al Comitato Feste era sembrata una buona idea, quella della banda, anche perché proprio in quei giorni c’era in paese il maestro Addigrà, che s’era fidanzato con una ragazza di Montedoro.

 

 

Capita di ritrovare dopo anni in un cassetto un’agenda nella quale avevamo scritto la traccia di una storia, un’idea rimasta incompiuta e che, a un tratto, ci venga la voglia di portare a termine quel percorso. È quel che è accaduto a Carlo Vincent Mastropietro, musicista e insegnante di musica che imbattendosi nelle storie che aveva abbozzato anni addietro ha deciso di dare un senso compiuto a quelle che, in parte sono storie della sua famiglia e in parte frutto della sua fantasia.

 Ma con un filo unico che unisce ogni pagina di un delizioso libretto che dichiara fin dal titolo, il suo contenuto: “Raccontini musicali”, dato alle stampe poche settimane fa, ha il potere di far affiorare ricordi familiari («tramandati nella mitologia familiare», dichiara lo stesso autore) che si mescolano con quella che è sempre stata una passione familiare – la musica – anch’essa tramandata dai nonni ai nipoti. Ed è questa che ha il compito di “cucire” i vari racconti e di andare a toccare le corde dell’emozione di chi legge.

C’è  un luogo, che è un paese dell’interno della Basilicata. È Carbone, qui chiamato con il suo nome originario Montedoro. Ma potrebbe essere qualsiasi posto del nostro Sud. C’è una famiglia partita per andare a cercare fortuna. Prima in Sud America poi negli Stai Uniti, poi nel Settentrione d’Italia. Come tante famiglie del meridione. E poi ci sono le storie:  i personaggi che nella comunità del paese hanno lasciato un segno, le cui gesta – anche di piccolo cabotaggio, spesso anche solo una situazione – vengono raccontate la sera intorno a una tavola dove non può mancare un buon bicchiere, un po’ di formaggio, un paniere di frutta e uno strumento musicale.

Ecco, questo è l’altro protagonista: lo strumento. All’inizio è un banjo o mandolino bluegrass, poi un pianoforte, o un Genis, la tromba trovata in soffitta, eredità del primo gruppo bandistico del paese.

E ancora storie legate tra loro: Vrazzo Muzzo, Adelina e quel frutto dal nome proibito, Cumpa Nicola U sagrestane scarso suonatore di mandolino ma autore di una mazurka, ancora oggi suonata in famiglia. E così via. Piccoli racconti che al loro interno hanno anche una colonna sonora ben definita. Una playlist, diremmo oggi, che Carlo Vincent, da esperto conoscitore di musica, segnala e utilizza per far affiorare i suoi ricordi familiari e stimolare i sentimenti del lettore.

«Nella mia vita ho sempre preso appunti, senza mai realizzare qualcosa di concreto. Negli ultimi anni, attraverso questi appunti, sia per alcuni brani musicali che erano appena abbozzata, sia per le cose scritte, ho trovato la forza di portare a termine le cose che erano solo accennate. Poi forse alla fine rimangono delle bozze. Però finite», spiega Carlo Vincent Mastropietro.

Quando e perché quegli appunti sono diventati materiale per pubblicare un libro?

«Quando mi sono imbattuto in un  paio di racconti che avevo scritto  in maniera quasi definitiva. A quel punto ho deciso di ampliare altre storie intorno a questi racconti. Credo che a un certo punto della vita, anche per effetto delle cose che ci accadono, venga questa esigenza, questo desiderio di ritornare indietro e di mettere al loro posto alcune cose. L’ho fatto con questi racconti che sono molto brevi. Raccontini, come dico nel titolo».

Storie vere, un pizzico di fantasia. E tanti strumenti musicali: perché?

«Ci tenevo a mettere in primo piano il fatto che la mia vera professione è il musicista, non lo scrittore. Così, nella brevità del racconto ho cercato di trasmettere in maniera professionale tutto quello che c’è di musicale. Volevo che ogni riferimento alla musica fosse abbastanza precisa, professionale. Così sono partito dal fatto che a un certo punto di mi sono reso conto di quanti strumenti musicali avevano fatto e ancora fanno parte della mia vita e di quella della mia famiglia. L’idea dello strumento  come mezzo per raccontare queste piccole storie mi è piaciuta subito. Dove non c’è uno strumento, però, c’è la musica ad avere lo stesso ruolo».

Adesso che ha rotto il ghiaccio, avrà altre storie e altri strumenti da raccontare?

«Chissà, è probabile. Ma forse le altre storie potrei raccontarle più con la musica che con la scrittura».

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