Quando si fermava ai semafori, gli automobilisti che l’affiancavano la guardavano con stupore e meraviglia: una donna minuta, bella e femminile alla guida di un camion. Lei, per niente turbata, li ha sempre disarmati con un sorriso.
Altre volte, quando si presentava agli ingressi di aziende o di cave, non la facevano entrare. Oppure non caricavano l’automezzo con il materiale, perché aspettavano un autista maschio per dare il via alle operazioni.
Agli inizi la vita di Filomena è stata così: un continuo combattere con la diffidenza degli altri.
Fin da quando, per aiutare il marito, un piccolo imprenditore edile, aveva deciso di mettersi alla guida del furgone da nove posti con il quale portava i dipendenti sui cantieri.
Eppure Filomena si era mostrata audace fin da ragazzina, quando non ancora sedicenne, aiutava la sua famiglia nei lavori in campagna.
La storia di Filomena Lucente, la donna che ha vissuto gran parte della sua vita alla guida di un camion, è stata raccontata da Carmela Bruscella, nel libro “Cb Filomena”, edito da Letteratura Alternativa.
“Cb – avverte l’autrice – non sono le mie iniziali ma è la sigla con cui internazionalmente si chiama la ricetrasmittente che usano gli autisti del camion”.
Uno strumento e un linguaggio fatto di sigle per comunicare. Ma Filomena ha “comunicato” sempre con i fatti, con il suo modo di essere e di agire, rappresentando un modello di emancipazione reale, proprio negli anni in cui le donne lottavano per vedere riconosciute certe conquiste.
Siamo negli anni Sessanta. Ad Acerenza. Il padre di Filomena è guardiano in una masseria della zona, La Polosa. Filomena, quand’è il periodo della raccolta del grano, parte dal paese con il suo cavallo per portare al padre le taniche di gasolio che serve a far funzionare il trattore. Un Om 311 sul quale lei si era seduta più volte alla guida. Coi mezzi meccanici aveva confidenza.
Già a quell’età era audace, capace, testarda. A 21 anni, a una festa di matrimonio, conosce Canio. Gli piace. Si piacciono. Si scambiano promesse d’amore. Restano fidanzati un anno e mezzo, poi si sposano. La cerimonia viene fatta proprio nella masseria dove lavorava il padre.
Poi gli sposi, come avveniva spesso in quel periodo, lasciano Acerenza. Lui aveva una azienda di edilizia, si era trasferito in Piemonte da tempo, ma ora stava costruendo una palazzina vicino Savona. La coppia di sposini si trasferisce lì, Borghetto Santo Spirito.
Filomena ci tiene a dare una mano al marito. Vuole aiutarlo, come aveva sempre fatto, del resto, con la sua famiglia.
Si fa assumere come collaboratrice: fa di tutto nei cantieri. E ben presto si mette alla guida del furgone con il quale trasporta i suoi dipendenti, va a fare piccole commissioni.
Con gli anni la ditta si ingrandisce, Filomena e Canio acquistano un camion più grande, più capiente, perché adesso si occupa anche di movimento terra: un Renault 130 da 80 quintali di portata.
Quel mezzo diviene presto la seconda casa di Filomena. Ma anche uno strumento per combattere i pregiudizi: una volta fu necessario chiamare il geometra della ditta per avere conferma che l’autista inviato dalla ditta fosse proprio lei, prima di darle il materiale di cui aveva bisogno. Un’altra la tennero fuori da una cava, perché gli operai non si aspettavano una conduttrice donna. Ostacoli che avrebbero potuto demoralizzarla, ma che lei ha sempre superato con il suo sorriso, la sua tenacia, i suoi modi gentili.
Carmela Bruscella racconta questa storia intrecciandola, nel suo romanzo, con storie di altre donne comuni e contemporanee, mettendo in risalto come l’esempio di Filomena sia riferimento anche tanti anni dopo.
Filomena e il marito Canio vivono ancora in Piemonte. Hanno avuto due figli e, come hanno sempre fatto, non hanno mai reciso le loro radici con la terra natia. Sono membri attivi dell’Associazione Culturale Amici della Lucania di Asti e Provincia. Promuovono, insieme agli altri soci, la Basilicata, le tradizioni e i prodotti della terra da cui provengono.
E lo fanno con passione e anche impegno costante. Tanto che, pochi mesi fa, il presidente dell’Associazione culturale amici della Lucania di Asti e provincia Antonio di Stasi, a nome di tutti i soci le ha conferito un riconoscimento “per la sua tenacia e intraprendenza nel lavoro. Un esempio per tutti, la sua storia di emigrazione, sacrifici e di lavoro, ha evidenziato come la donna abbia contribuito al miglioramento della vita della famiglia nei paesi di destinazione”.